Libero, 14 luglio 2019
Intervista a Carlo Pernat
«Free as a bird» cantavano i Beatles, libero come un uccello, che pare proprio il manifesto perfetto per spiegare chi è Carlo Pernat. «Fantastici i Beatles», racconta il manager genovese, 71 anni e da 40 deus ex machina del mondo dei motori, 20 titoli iridati in bacheca, «talmente fantastici che una volta George Harrison, patito delle corse, è venuto con suo figlio a chiedermi l’autografo, lui a me!, e manco l’ho riconosciuto: era magro, con la barbetta, io lo avevo lasciato coi capelli lunghi...».Magari se la cava meglio coi Rolling Stones...
«Noi della Gilera organizzammo il concerto a Torino nel 1982: quelli, per cantare, avevano bisogno dell’aiutino chimico... diciamo che ci siamo arrangiati».
Altro insospettabile appassionato di motori è Zoff...
«Dino sa tutto, ogni risultato, ti sorprende, mentre con Trapattoni abbiamo passato serate a raccontarci barzellette: è un fuoriclasse».
Anche lei lo è stato con il presidente francese Mitterand...
«Forse gli ho fatto un rutto in faccia, una sera a cena all’Eliseo, dove eravamo per la Parigi-Dakar. Sa, con tutto quello champagne... ma credo di essermi messo la mano davanti alla bocca in tempo. Credo».
Il «massimo obiettivo della vita è non fare un cazzo», sostiene lei.
«Il segreto è divertirsi: il tempo non passa, arriva. Ho vissuto quattro vite, girato il mondo 250 volte: la Dakar, Formula 1, ciclismo, calcio, non mi manca niente. Il mio carattere estroverso e la mia totale mancanza di ipocrisia sono la mia forza».
Una vita di ciambelle col buco, quasi tutte riuscite. Ne tiriamo una di salvataggio a Valentino Rossi?
«L’ho lanciato io, mi dicevano che l’ho fatto solo perché era raccomandato da suo padre Graziano... che idioti... Per me il problema della sua crisi è dentro la sua squadra, non lui ormai 40enne, né la moto Yamaha. Deve aver coraggio di cambiare uomini, scegliere un nuovo capotecnico».
Quindi non smette a novembre?
«Gli devono sparare alle gambe, ha una paura fottuta di lasciare. Deve però ritrovare il sorriso».
O “trovare una soluzione”, il mantra di Pernat.
«Nel 1992, quando vincemmo il primo Mondiale in Aprilia con Gramigni, rischiammo grosso. Alex si distrusse contro un’auto prima del Mugello, per guadagnare quei 3 punti che poi furono decisivi scegliemmo di operarlo col dottor Costa a 5 giorni dal Gp: ogni volta che doveva salire o scendere dalla moto i meccanici lo prendevano in braccio. Fu il mio primo titolo iridato: come il primo amore, non si scorda mai».
Come Marco Simoncelli.
«Per talento è in cima al podio dei migliori che abbia mai avuto come manager, poi Rossi e Iannone. Invece come piloti completi dico Rossi, Sic e Capirossi, questi ultimi due i miei fratelli, per quello che abbiamo vissuto».
Che perdita è stata il Sic?
«Sportivamente enorme, perché in poco tempo avrebbe regolarmente battuto tutti: Rossi, Lorenzo, Marquez. Umanamente incomparabile. Marco era uno pulito, quasi ingenuo nella sua purezza. Quel giorno che è morto in Malesia è stata l’unica volta che ho pianto. Volevo mollare tutto, poi ho dormito due mesi in camera sua a Coriano e i suoi genitori Paolo e Rossella mi hanno convinto a continuare. Ho creato la Fondazione, che assieme a quella di Senna è la più seguita al mondo. Ha già costruito due ospedali, ad Haiti e Coriano».
Sul podio degli stronzi chi mettiamo?
«In quegli Anni 90, in cui vinceva, uno davvero antipatico era Max Biaggi. Non stronzo però, occhio. Ma gli va dato atto di essere stato il primo pilota ad aver portato nel futuro la comunicazione mediatica, grazie anche al suo giro romano, Maurizio Costanzo, Fabrizio Frizzi... E poi, oltre ad essere un gran pilota, è sempre stato un gran chiavatore».
Ai Gp ci si dà da fare?
«Ci sono ancora ombrelline che si appostano a giornata davanti ai motorhome dei piloti... Ma è sempre stato pieno di figa. Ricordo il culo della fidanzata di Randy Mamola... Emy, una bionda da paura, due pere sode. Mi è toccato fare pure il paggio, me la sarei fatta io, ma sarei stato il secondo visto che il povero Randy aveva scoperto che la signorina scopava pure con Kevin Schwantz».
Pernat, a quanto pare lei è un professore non solo di motori. Il podio dei luoghi dove ha visto più gnocca?
«Il “Riviera” di Barcellona, stupefacente, peccato che l’abbiano chiuso 4 anni fa: 80 cubane, uno spettacolo, tutto il Motomondiale andava lì, che non raccontino balle, ce li ho trovati tutti. Poi il “Felina” a Valencia, mamma mia, tutte venezuelane e colombiane, chi non va lì non ha capito niente. Poi c’è il “Babylon”, una catena in Europa, dei castelli dove la qualità è 9 su 10, bellissimi. Ah, a Sydney mi ha colpito il “Penthouse”, in Pitt Street, mi ricordo anche la via: piscina fumante all’interno, ragazze indonesiane, spagnole, brasiliane».
Potrebbe fare una guida.
«Ma in Italia non me lo permettono, ed è uno scandalo che qua i troiodromi non esistano. Siamo l’unico paese civile, o incivile, a non averli. Sarebbe un vantaggio per tutti: per lo Stato che incassa tasse, per la sicurezza delle signorine e dei clienti. È una privazione di benessere sociale. Ma belìn, che palla ’sta legge Merlin, che palle questa ipocrisia...».
Nel libro che ha appena scritto con Massimo Calandri non ha peli sulla lingua. «Ringrazio Massimo, ha saputo tirar fuori il vero Carlo. Sì, ho aperto le mie valige e mi sono messo a nudo: sono così».
Mai fatto il conto di quanto ha speso con le donne?
«Credo circa mezzo milione, mi sarei preso una casa al mare... ma poi me la son comprata ugualmente».
La prima volta?
«A 14 anni con Wilma, la nave scuola, lei ne aveva 28».
Hanno provato a farle fare anche un’altra “prima volta”. «Era il 1992, c’erano con me Reggiani, Chili, Casanova e Gramigni, eravamo alla Domenica Sportiva per celebrare il titolo del “Gram” e presentava Simona Ventura, bella gnocca. I ragazzi sapevano che alle donne non resisto e la sera in hotel sento bussare: “Chi è?”. “Marisa”. Apro, che topa! Entra, io comincio a toccare poi sento un pacco della madonna e ho tirato un urlo: era un trans, l’ho mandata via e fuori dalla porta c’erano quei quattro sacchi di merda che ridevano».
Roba da brindisi...
«Con la grappa, di cui sono uno dei più grandi bevitori mondiali. Ma non con la cachaça».
Perché?
«Ricordo ancora la gara a chi ne beveva di più al ristorante hawaiano con Giorgio Belleggia del Messaggero e Massimo Angeletti della Rai: Angeletti è sparito alla 48esima, Belleggia è uscito carponi alla 49esima, io sono crollato alla 52esima. Mi salvò mia figlia, in taxi vomitavo dal finestrino».
Ha anche pure rischiato di restarci secco.
«Al Mugello finii in camera con due signorine, fra alcol e altra roba c’era di tutto. A un certo punto ho detto basta e sono andato nella mia stanza, per fortuna senza chiudere: ero svenuto e avevo sbattuto la testa in uno spigolo, mi ha trovato un cameriere. All’ospedale mi dissero: “Si droghi meno”. “Sarà stata la grappa”, risposi».
Fuma ancora?
«Eccome, sono una bestia. Quando crepo mi mettono sul tavolo dell’università e mi sezionano: sono un Visitor».
Tra tante soddisfazioni però spunta fuori il suo Genoa.
«Per loro avevo creato pure la prima carta di credito collegata a un club calcistico, ma l’hanno bocciata. Il nostro problema è il presidente, storicamente chi viene a gestire ci costringe a salvarci all’ultima domenica. Io sono profondamente rossoblù però, come diceva il mio grande amico Pippo Spagnolo, “Sei genoano? E vuoi anche sorridere?”».