il Giornale, 14 luglio 2019
Libra e Trump, in gioco 1.350 miliardi
Donald Trump è stato il primo a dichiarare che l’imperatore era nudo. Con un tweet il presidente degli Usa ha preso posizione contro Libra, la moneta virtuale di Facebook che dovrebbe arrivare nei portafogli elettronici dei 2,4 miliardi degli utenti del social network nel 2020 e, più in generale, contro tutte le criptovalute svincolate da ogni normativa. «Se Facebook e altre aziende vogliono diventare una banca devono diventare soggetti a tutti i regolamenti bancari» ha tuonato la Casa Bianca aggiungendo poi: «Non sono un fan di Bitcoin e altre criptovalute, che non sono denaro, e il cui valore è altamente volatile e basato sul nulla».
In realtà sono anni che Facebook, Apple, Amazon, Google, Tencent e Alibaba stanno flirtando con il redditizio mercato dei servizi finanziari, un ambito che secondo uno studio di McKinsey vale oltre 1.350 miliardi nei soli Stati Uniti. Secondo le stime di S&P capital, l’11% del giro d’affari dei «Big Tech» è ormai generato proprio dai servizi finanziari. Ed è destinato a crescere: al di là delle commissioni in gioco c’è un patrimonio di dati a disposizione.
Ant Financial Services, Group, braccio finanziario di Alibaba conta su 600 milioni di utenti, Amazon Pay su 300 milioni a cui avrebbe finanziato acquisti per 3 miliardi di dollari (ma secondo le stime degli esperti la domanda di credit potrebbe facilmente raggiungere quota 25 miliardi). Finora i colossi hi-tech hanno fatto leva sulla forza del brand, su una rete vastissima di utenti, sulla facilità di utilizzo di proprie applicazioni, su un’offerta di servizi, prevalentemente di pagamento o di trasferimento denaro (da Apple Pay a Google Pay, da WeChatPay ad Alipay), gratuiti o comunque competitivi rispetto a quelli offerti dagli istituti di credito tradizionali oltre che su carte di credito dedicate come per Amazon.
Questo è stato lo scenario di riferimento fino a poche settimane fa, tanto che la stessa Facebook ha una licenza per gestire servizi di pagamento e operare come istituto virtuale, ottenuta, a fine 2016, dalla Banca Centrale d’Irlanda (e l’acceso a Dublino ha assicurato al gruppo di Mark Zuckerberg l’ingresso in Europa). Ma tutto questo non è bastato a Facebook che ha appunto annunciato la Libra, un sistema di pagamento digitale globale e decentralizzato a disposizione anche di chi non ha carte di credito o conti bancari. La cripto valuta è sostenuta e governata da una omonima associazione con sede a Ginevra dove siederanno tra gli altri PayPal, Visa, MasterCard, Spotify e Uber. La differenza con le altre criptovalute esistenti, a iniziare dai Bitcoin – la moneta virtuale pionieristica lanciata dieci anni fa da un inventore noto come Satoshi Nakamoto – è presto detta: l’universo di Facebook e il peso dei partner presenti in Libra Association rischia davvero di dare vita a un sistema di pagamento alternativo a quelli regolamentati. E questo alla Casa Bianca proprio non piace. Non solo perché «le criptovalute possono facilitare comportamenti illeciti», ma anche considerando che «abbiamo una sola valuta reale negli Stati Uniti, è più forte che mai, è affidabile e ritenuta tale in qualsiasi parte del mondo e rimarrà sempre così. Si chiama dollaro».
Non solo. Colpisce che, oltre alle banche, al tavolo di Libra Association non figurino, per ora, pesi massimi del calibro di Apple, Amazon, Google o Netflix. E, in uno scenario in evoluzione come quello attuale, è legittimo il dubbio che si stiano raccogliendo le forze per introdurre ulteriori sistemi di pagamento decentralizzati e alternativi. Anche per questo il tweet di Trump è molto significativo.