La Stampa, 14 luglio 2019
Intervista a Jeremy Burge, lo storico degli Emoji
Quel sorriso era sincero o sardonico? Quant’era allusivo quell’occhiolino? E quel cuore indicava amore o amicizia? Gli emoji, delizia e croce della comunicazione online. Sui social network le nostre emozioni sono ormai veicolate da quelle faccine che simulano ogni possibile espressione umana. Facebook ha calcolato che solo sulla sua piattaforma vengono usate quotidianamente in 700 milioni di post.
Il massimo esperto mondiale in materia lunedì prossimo sarà a Torino per l’inaugurazione della mostra «#FacceEmozioni», alla Mole Antonelliana. Si chiama Jeremy Burge, ha 35 anni, è nato in Australia ma vive a Londra, dove ha creato il sito Emojipedia. In qualità di «storico degli emoji», Burge ha ricostruito le origini di quei simboli. «Per lungo tempo si è pensato fossero nati in Giappone nel 1999. Solo di recente si è scoperto che erano già usati nel 1997. Negli ultimi dieci anni, poi, sono poi esplosi anche in Occidente».
Che cosa la affascina di quelle faccine al punto da farne una missione di vita?
«Il fatto che siano una delle pochissime esperienze condivise in tutto il mondo, sia dai giovani che dai vecchi, considerato che oggi i contenuti online sono molto diversi di paese in paese. Da lì il desiderio di catalogarle e di preservare la loro storia».
Emojipedia è considerata la più importante risorsa al mondo in materia, al punto che la seriosa BBC Radio ha definito il portale «una sorta di Académie française per il vostro iPhone». Che cosa cerca l’utente lì dentro?
«Alcuni vogliono sapere il senso di un’icona, altri non vogliono correre il rischio di essere fraintesi. Altri ancora sono curiosi di confrontare la diversa resa di un emoji tra una piattaforma e l’altra, visto che cambiando sistema operativo si possono avere piccole ma fondamentali variazioni».
I dettagli di un emoji sono così importanti?
«Sì, se un gigante come Apple si prende la briga di modificarli e migliorarli in continuazione. Basti pensare al revolver sostituito da una pistola ad acqua. O all’icona della paella, di cui sono stati cambiati gli ingredienti per renderla più fedele all’originale».
Le è piaciuto il film del 2017 «Emoji - Accendi le emozioni»?
«Aveva potenziale, ma la trama era così così. Ho sentito però che i bambini ne andavano pazzi. Meglio comunque il musical "Emojiland". Divertente, adulto, con grandi canzoni. Ha girato off-Broadway, ma mi piacerebbe rivederlo in scena nel circuito teatrale maggiore».
Qual era il suo obiettivo quando nel 2014 ha creato il World Emoji Day?
«Mi sembrava ci fosse bisogno di una festa a tema dedicata a un fenomeno all’epoca non ancora così popolare».
Oggi lo è di sicuro, considerato che questa festa è diventata uno dei top trend di Twitter, ha avuto l’adesione di grandi aziende come Coca Cola, Disney, Sony e Apple, ha dato vita ai Word Emoji Awards con i red carpet delle star e i premi annunciati al palazzo della borsa di Wall Street. Se lo sarebbe mai aspettato?
«Mai. Anzi, quando quel giorno vedo l’Empire State Building illuminato color "giallo emoji", o quando la gente mi ferma per strada senza sapere il mio nome, chiamandomi solo "il tizio degli emoji", mi fa sorridere. Lo trovo surreale».
Perché per il World Emoji Day ha scelto proprio il 17 luglio?
«È la data che Apple raffigura sull’emoji del calendario».