Corriere della Sera, 14 luglio 2019
Quelli che mangiano i cani
L’abitudine al consumo di carne di cane è un tratto comune di più Paesi dell’Asia orientale. In Cina, nelle due Coree, in Vietnam, tutti di tradizione confuciana, il cane è un alimento non proprio di massa ma comunque reperibile, almeno in alcune aree. Uno dei motivi che spiega il ricorso a una pratica che fa orrore in Occidente (ma anche nei Paesi musulmani, dove il cane è con il maiale l’animale impuro per eccellenza) sta nei principi della medicina tradizionale, che considera la carne di cane utile a combattere il calore dell’estate. Le norme alimentari cinesi, condivise dai Paesi limitrofe, prevedono un articolato sistema di bilanciamento tra freddo e caldo, così come l’intera esistenza deve (dovrebbe) conformarsi a un dualismo che vede l’equilibrio, o l’opposizione, fra yin e yang (femmina e maschio, concavo e pieno, nord e sud, nero e bianco). Qualcosa tuttavia cambia. I primi a indignarsi per il festival della carne di cane nato esattamente dieci anni fa a Yulin, nella provincia cinese del Guanxi, sono gli animalisti della Repubblica popolare, dove tra le conquiste della sempre più vasta classe media urbana rientra la possibilità (il piacere) di tenere con sé animali da compagnia. Anche se, lontani dalle megalopoli più vibranti, i gusti culinari suggeriscono ancora menu più cruenti.