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 2019  luglio 14 Domenica calendario

Le nuove parole che ci servono

Scriveva Gabriel García Márquez che le parole non nascono nelle accademie, bensì per strada, fra la gente. E in effetti non c’è dubbio sul fatto che i nostri linguaggi siano figli di un gioco antichissimo e profondamente umano: quello di battezzare le cose, i fenomeni, gli stati d’animo. All’alba dei moderni dizionari non ci sono insomma cenacoli illuminati fra cattedratici, ma il bisogno dell’essere umano di dare un nome a ciò che lo circonda, spesso in modo elementare. Pensate alla damigiana: nasconde il riferimento a una “dame Jeanne”, una francesizzante Signora Giovanna sulla cui identità ancora si dibatte. Oppure c’è il caso del valoroso guerriero Jacques de La Palice, suo malgrado costretto a tramutarsi in aggettivo per definire nei secoli le asserzioni ovvie e scontate (si deve al fatto che l’erosione di due vocali nel suo epitaffio fece apparire sulla tomba la scritta “se non fosse morto sarebbe vivo"…).
Ogni giorno, dunque, la fucina dell’umanità crea parole nuove necessarie a verbalizzare il proprio tempo, ma ciò che più mi attrae è che questi neologismi si nutrono dei personaggi continuamente plasmati dalla tempestiva mitologia istantanea dei mass-media. Proviamo allora a imitare il metodo, traendo dalle nostre pagine di giornale una manciata di parole finora inesistenti, a uso e consumo dei posteri. Basta in fondo sfogliare la cronaca. Carola Rackete, capitana della Sea-Watch, si impone come prima candidata al nostro dizionario fai-da-te. Cosa potrebbe significare l’aggettivo racketiano? Suggerisco di usarlo come sintesi di una drastica scelta civica: un gesto racketiano sarà d’ora in poi quell’atto estremo per cui si infranga una regola in nome di un valore più alto e insindacabile, sul modello dell’Antigone di Sofocle. Giusto ieri leggevo di un ragazzo che nei pressi del Circeo si è reso conto che un cane stava agonizzando dentro un’auto parcheggiata sotto il sole cocente, per cui giustamente ha spaccato il vetro dell’utilitaria, salvando l’animale. Bene: infrangerei finestrini delle vetture altrui è punito come reato dal codice penale, per cui è immaginabile che il giovane verrà perseguito. In quel caso invito l’avvocato difensore ad appellarsi al racketismo: illegalità per fini superiori. Andiamo avanti. È di pochi giorni fa la notizia che uno dei principali accusatori di Kevin Spacey avrebbe ritirato ogni denuncia. Nel frattempo uno dei più grandi attori teatrali e cinematografici degli ultimi decenni è stato colpito da fatwa bigotta e radiato senza appello dall’hollywoodiano arengo. Vi propongo allora di coniare il verbo spaceyzzare: indicherà ogni tentativo (in famiglia, sui posti di lavoro) di polverizzare sbrigativamente il talento di qualcuno solo in nome delle sue scelte personali. Visti i tempi, temo diverrebbe un verbo assai frequente.
Perché poi non trasformare in aggettivo anche Jeffrey Epstein, il potentissimo miliardario oggi arrestato dalla Procura di New York per inequivocabili abusi pedofili: l’aspetto curioso della vicenda sta nel fatto che il magnate era amico di lunga data sia di Trump che dei Clinton, al punto di averli più volte ospitati sul suo aereo personale. Verrebbe voglia di definire epstinica quella particolare forma di marciume che incolpi un’intera classe politica, senza distinguo di bandiera o di slogan. Oppure, se preferite, epstinismo potrebbe diventare la prova opposta all’onnipotenza del denaro (e delle amicizie altolocate): perfino chi vanta un proprio Boeing 727 e si dà del tu da vent’anni con gli inquilini della Casa Bianca può finire in gattabuia a contar le mosche sul soffitto. Avrei un nuovo conio anche per Greta Thunberg, ma poiché sarebbe fin troppo banale intitolarle qualunque lemma ecologico, azzarderei che thunbergiano indicasse tutte le imprese di statura inversamente proporzionale all’aspetto di chi le combatte (se una bambina riesce a sfidare Stati, multinazionali e Onu, allora non c’è davvero battaglia che ognuno di noi possa considerare persa in partenza). E infine come non riservare un posto anche a Mandla Maseko, il trentenne africano che si preparava a essere il primo astronauta del suo continente? Proprio in queste ore migliaia di africani piangono la sua improvvisa scomparsa per un incidente di motocicletta. Ed è davvero un paradosso impressionante: masekiano potrebbe definire, se vorrete, quei momenti folli dell’umano esistere per cui, mentre ti prepari a raggiungere la luna nell’infinito spazio siderale, non metti in conto i rischi dell’asfalto accanto al garage di casa. Almeno una volta ci siamo passati tutti, credo. Sfido chiunque a non aver pensato “magari ci fosse una parola per dirlo”. Adesso c’è.