Avvenire, 14 luglio 2019
La battaglia con il male passa per una parrucca
Non la vedo rilanciata come meriterebbe la notizia proveniente dalle Tre Venezie (e, delle Tre, da quella più segreta e misteriosa, che usa anche la lingua tedesca), che informa della nascita di un’associazione di donne per la preparazione e la donazione di parrucche alle pazienti oncologiche che perdono i capelli e si ritrovano calve. L’associazione è appena nata, i lettori di questo giornale già ne sanno qualcosa, e il lancio Ansa che ho io è del 5 luglio, e fa sapere che le trecce donate finora son già un migliaio, i saloni che hanno aderito all’iniziativa e si prestano al lavoro sono una cinquantina, e le donne che si sono registrate come pronte a donare i capelli sono centinaia. Non sono soltanto donne anziane, che sanno cos’è questo dramma, sono anche ragazze, che l’hanno visto nelle famiglie delle amiche. È un modo per spartire il male degli altri, che dovrebb’essere il modo più umano e più cristiano di vivere nella società.Ma che cos’è questo problema, di perdere i capelli, perché è un problema? Noi maschi lo conoscevamo tutti quando c’era il servizio militare obbligatorio. Nel primo giorno, tutti rapati a zero. Era uno choc. Dalla rapatura a zero emergeva un cranio bitorzoluto, che nessuno sapeva di avere. Diventavamo altre persone. Questo era intenzionale, non eravamo più i borghesi di prima, eravamo soldati. Nel film ’Full Metal Jacket’ di Kubrick è la prima scena, la scena introduttiva. Da quel momento i ragazzotti borghesi americani diventano dei marines, la rapatura è il primo passo. Nelle donne che perdono i capelli per la chemioterapia la calvizie è un ammonimento: comincia la lotta ravvicinata, corpo a corpo, con la malattia. Mentre scrivo queste righe i giornali riportano la notizia della moglie di un giocatore dell’Inter che comincia la chemio, e lei la chiama ’la lotta con la bestia’ o ’con la brutta bestia’. In questa lotta la donna perde i capelli. Anche gli uomini, ma nelle donne la calvizie assume conseguenze particolari, ed è di queste che parliamo.
Per le donne la calvizie o la rapatura sono una menomazione e una umiliazione. La rapatura a zero era la punizione che veniva inflitta dopo la guerra alle collaborazioniste: col cranio messo a nudo venivano fatte sfilare per la città, e per loro era insopportabile come se venissero bastonate. Sfilavano a capo chino, annichilite. Le pazienti oncologiche vorrebbero evitare questa fase della malattia, la gogna. Solo le pazienti molto piccole non l’avvertono, perché non sanno ancora quant’è cattiva la società. Philippe Forest ha un libro autobiografico sulla morte per cancro della figlioletta, e scrive che quando la piccola passeggiava per i giardini con la testa calva per la chemio, c’eran delle vecchie che se l’indicavano col dito e si dicevano: ’Guarda! Una bambina calva. Morirà prima di noi’. Quando questa bambina saliva le scale, perdeva qualche ciocca di capelli sui gradini, e il genitore che saliva dopo di lei vedeva questa ciocca, la prendeva con due dita e la faceva sparire, perché l’altro genitore non la vedesse.
La calvizie è una gogna. La parrucca sottrae a questa gogna. Le donne che nel Trentino Alto Adige hanno pensato di fondare questa associazione hanno questa sensibi-lità, e ne parliamo qui perché altre donne nelle altre regioni facciano altrettanto.