il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2019
Ritratto di Gianluca Savoini
A Laigueglia, il suo paese, non ha amici, solo la mamma. Torna per lei, nemmeno mette piede in spiaggia. I Bagni Ondina sono il patrimonio della famiglia, abbiente e affluente, di Gianluca Savoini e rappresentano il centro di gravità permanente della Capalbio ligure. Solo per dire, Attilio Invernizzi, mega direttore delle Generali, Alberto Talan, della Rolex, e tutta la borghesia genovese sono ospiti dei Savoini. A vent’anni Gianluca resta però già inebriato della forza propulsiva delle idee di destra estrema. È milite di Orion, gruppo guidato da Maurizio Minelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Non il mare ma la Patria ha nel cuore, la lotta al comunismo, la difesa dell’identità. Al pari di Mario Borghezio, stesso ambiente e stesse idee, sceglie di trasferire nella Lega le conoscenze e i valori, arricchirla della forza delle sue battaglie. La Lega diviene infatti presto la sua casa, Milano la sua città, e Bobo Maroni, al tempo (1994) il suo primo ministro di riferimento. “A Laigueglia sapevamo che Gianluca era nello staff di Maroni”, scrive Iltruciolo.it, il foglio locale ricordando il periodo pre-salviniano.
Stempiato, segaligno, tristissimo nei suoi abiti da vice cumenda, Gianluca conosce Bobo ma anche Matteo Salvini. Circa trent’anni fa l’incontro. È il 1991, Savoini, giornalista professionista, lo intervista per l’Indipendente (scriverà anche per Il Giornale, Italia settimanale e La Padania, oggi collabora con Libero). Il giovanissimo Salvini, appena eletto consigliere comunale a Milano, racconta il suo sogno leghista. L’orizzonte di Matteo a quel tempo sono al massimo i mercati rionali meneghini. Gianluca è già oltre gli Urali. Ha 28 anni e si trova nel Parlamento russo, la Duma, nei suoi giorni drammatici. Ottobre 1993: i cannoni di Eltsin anneriscono la Casa bianca moscovita. Si conteranno 500 morti. Dentro il palazzo assediato c’è Savoini. “Ero lì”, giura a Vanity Fair, il settimanale che decide di svelare il volto italiano del rappresentante ufficiale della Lega a Mosca. Savoini il plenipotenziario. Così attesta Sputnik news, braccio mediatico di Putin e così dirà Salvini a International Affairs. Savoini e D’Amico sono “my official representatives”. Con Claudio D’Amico, già deputato del Carroccio, Savoini fonda – è il 2014 – l’associazione Lombardia-Russia che ha sede sul retro di via Bellerio, nella ex portineria. Ha la sede ma non una targa, un numero civico ma non un citofono. L’associazione ha come missione la promozione dell’amicizia tra la Padania e Putin. La cultura, più che altro.
Gianluca ha appena lasciato l’ufficio di portavoce di Matteo, si è intanto sposato con Irina, russa di San Pietroburgo. Mentre Claudio, membro attuale dello staff del ministro del- l’Interno, è convolato a nozze con Svetlana, anch’ella di nazionalità russa. L’associazione, dice Savoini, deve valorizzare i rapporti tra Italia e Russia. Lui intanto sottoscrive la partnership strategica a nome della Lega con il partito putiniano di Russia Unita nel 2017.
Savoini non parla il russo (“da giovane l’ho considerata una lingua nemica, poi da adulto è difficile imparare”) però ha una connessione sentimentale fortissima con quella terra. Ama Tolstoj, anche Dovstoevskij, ma più di tutti Nicolai Lilin, l’autore dell’Educazione siberiana. Ama ed è riamato. Irina è la sua compagna di vita e Mosca la sua sede permanente, il luogo dell’amicizia e degli affari. Nel 2016 apre nella Capitale dell’ex impero la Orion Loc, società di consulenza. Di Orion è socio D’Amico. Savoini sceglie, forse perché la memoria è sempre maestra, lo stesso nome del suo primo movimento politico. Consulente. Ma di che? Solo valori culturali o anche offerte commerciali? Solo eventi politici o anche vendite di gasolio, come quella proposta alla Avangard Gas&- Oil? Scambi di vedute o proiezioni di fatturato?
A Milano la sua associazione chiama Alexey Komov, oligarca moscovita, classe 1974, laureato in legge, fondatore della Marshall Capital, società di investimenti, alla presidenza onoraria. Komov è un nome pesante e influente. E la sua organizzazione per la difesa della famiglia sceglie una delle patrie leghiste, Verona, per tenervi il congresso mondiale. E Komov, guarda un po’ tu, è anche segnalato nelle diplomazie occidentali come uno dei possibili finanziatori della campagna russa di Crimea. È il 2014, l’intervento militare di Mosca chiude vittorioso un drammatico confronto militare con l’Ucraina per la sovranità della penisola di Crimea. E Savoini, guarda un po’ tu, sarà chiamato a fare l’osservatore internazionale del referendum che i russi organizzano per formalizzare il ritorno della Crimea alla casa madre. La Lega ha tanto a cuore la Crimea russa che nell’ottobre del 2014, giunge a Mosca Salvini, il segretario. Accompagnato da Savoini incontra Oleg Saveliev, il ministro russo per la Crimea. Annuncia Savoini: “Terremo anche una conferenza stampa a Simferopoli e incontreremo vari ministri della Crimea”. Anche il consiglio regionale lombardo riconoscerà la Crimea come parte della Russia. Due mesi dopo, l’anno è sempre il 2014, Salvini è di nuovo a Mosca, naturalmente accompagnato da Savoini. Per la prima volta parla di soldi, di finanziamenti possibili. Dice a Repubblica: “Non cerco regali ma un prestito conveniente come quello concesso alla Le Pen lo accetterei volentieri. Lo accetterei da chiunque mi offrisse condizioni migliori di, per esempio, Banca Intesa”.
Nove volte sarà a Mosca, nove volte accompagnato da Savoini. In un mese – è il febbraio del 2015 –, ci va il 14 e poi il 24 e poi ancora il 16 dicembre e poi il 28. Salvini va più a Mosca che a Gemonio, dove ormai i rapporti con Umberto Bossi, il padre fondatore, sono azzerati.
Di chi è il successo, se non di Savoini? “Ho sempre fatto parte delle delegazioni in Russia di Matteo Salvini”, garantisce. E noi gli crediamo.