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 2019  luglio 14 Domenica calendario

L’eclissi di sole, spiegata

Le eclissi solari si verificano quando la Luna passa fra la Terra e il Sole. Il fenomeno non accade però ogni mese, al novilunio, come ci si potrebbe aspettare, ma è un evento raro. Si presenta infatti soltanto quando la Luna, la cui orbita è inclinata rispetto al piano di rivoluzione terrestre, interseca quest’ultimo in punti detti «nodi»: quando il nodo si trova fra la Terra e il Sole, l’ombra della Luna avvolge alcune aree della superficie terrestre, e si assiste a un’eclisse solare; se invece il nodo si trova dalla parte opposta, è l’ombra della Terra a oscurare in tutto o in parte la superficie del nostro satellite, e si ha un’eclisse lunare.
L’eclisse è parziale se Sole, Luna e Terra non sono perfettamente allineati. La perfetta sigizia (cioè l’allineamento dei corpi celesti) non esclude però la possibilità di un’eclisse parziale: poiché l’orbita della Luna – come quella di tutti i pianeti – è ellittica, la sua distanza dalla Terra non è costante, e all’apogeo (il punto dell’orbita in cui è più distante dal nostro pianeta) il disco lunare non è in grado di occultare completamente il Sole. Il cono d’ombra non giunge quindi fino alla superficie terrestre, e si ha un’eclisse anulare, in cui solo la parte centrale del disco solare viene oscurata.

Alle difficoltà di carattere ottico-astronomico si aggiungono poi ostacoli di tipo osservativo. Il cono d’ombra proiettato dalla Luna sulla superficie terrestre è infatti molto ristretto, e riguarda soltanto (e ogni volta per pochi minuti) una limitata fascia geografica che, per la conformazione del nostro pianeta, cade nella maggior parte dei casi negli oceani, o in zone difficilmente raggiungibili dagli osservatori.
Per tutti questi motivi le eclissi totali di Sole sono eventi sporadici, le cui osservazioni sono però preziose per studiare la fisica della stella a noi più vicina. Ne parliamo con Jay M. Pasachoff, field memorial professor di Astronomia e direttore dell’Osservatorio Hopkins del Williams College di Williamstown (Massachusetts). Pasachoff è presidente del gruppo di ricerca sulle eclissi solari dell’Unione astronomica internazionale (Iau), e da molti anni insegue questi rari fenomeni in giro per il mondo.
Come nasce, nella sua carriera di studioso, un così forte interesse per le eclissi di Sole?
«Da astronomo, mi sono sempre interessato al Sole, anche se il mio lavoro in questo settore mi ha portato a utilizzare strumenti di osservazione simili per altri progetti di ricerca, come lo studio dell’atmosfera di Plutone e del suo satellite Caronte. Nel mio primo anno da studente all’Harvard College seguii un seminario di Donald Menzel, noto per i suoi studi dello spettro della cromosfera solare durante le eclissi. Proprio in quell’anno, il 1959, capitò che si verificasse un’eclisse totale di Sole: era visibile soprattutto in Europa, ma iniziò ad essere osservabile nel cielo di Cambridge, Massachusetts, molto vicino a dove ci trovavamo. Menzel noleggiò allora un aereo Dc-3 e portò una dozzina di noi studenti a vedere l’eclisse. Avevo solo sedici anni, e ne rimasi letteralmente rapito».
Qual è il ruolo del gruppo di ricerca dell’Iau da lei presieduto?
«Il compito della nostra divisione è coordinare il lavoro degli astronomi che nel mondo studiano le eclissi solari, fornendo loro informazioni e supporto logistico. Mettiamo a disposizione degli studiosi dati di vario genere, carte geografiche dettagliate, elaborazioni meteorologiche su quali sono i luoghi della Terra dove un’eclisse potrà essere osservata al meglio, e aiutiamo anche gli astronomi a ottenere i visti governativi necessari per recarsi in quelle zone».

Perché le eclissi totali di Sole sono importanti?
«Durante le eclissi totali sono visibili regioni del disco solare – in particolare, la corona, cioè la parte più esterna dell’atmosfera del Sole – che normalmente non lo sono, a causa dell’enorme quantità di luce emessa dal disco stesso. La corona può fornirci importanti informazioni sulle espulsioni di massa coronali: enormi e violente emissioni di plasma ad altissima temperatura, legate all’intensa attività magnetica del Sole, che possono creare seri problemi ai satelliti, disturbare i nostri sistemi di trasmissione e di geolocalizzazione. Ogni eclisse è differente dalle altre, sia per il carattere sporadico delle emissioni, sia perché ogni eclisse si verifica in un momento diverso del ciclo di attività del Sole, che dura undici anni. Un’eclisse totale ci offre una finestra di osservazione di pochi minuti, e questo avviene soltanto ogni diciotto mesi circa: i nostri strumenti di osservazione migliorano continuamente, e così le teorie che ci aiutano a decidere di volta in volta su che cosa concentrare la nostra attenzione, ma il tempo è poco e rimangono sempre tantissime domande a cui rispondere».
Com’è stata organizzata l’osservazione dell’eclisse totale che è avvenuta il 2 luglio scorso, la sua trentacinquesima?
«Ogni eclisse va studiata in modo diverso. Il gruppo di ricercatori da me guidato si è disposto in tre punti diversi nell’entroterra del Cile: alcuni hanno collocato i loro strumenti presso l’osservatorio di Cerro Tololo, a un’altezza di circa 2.200 metri, dove l’eclisse è stata visibile nella sua totalità per due minuti e sei secondi; altri si sono fatti trovare nel punto di massima visibilità, a un’altezza di circa 800 metri, sfruttando una finestra temporale di due minuti e 35 secondi; altri ancora hanno osservato l’eclisse a livello del mare, presso la città di La Serena. A questi si sono aggiunti alcuni osservatori a bordo di un aereo, in volo sull’Oceano Pacifico a 1.100 chilometri a nord dell’Isola di Pasqua. Come dicevo, al momento l’attività solare è al minimo del proprio ciclo di attività: il magnetismo è molto basso, e questo ci ha consentito di osservare le eruzioni di gas confinate dal campo magnetico vicino ai poli. Abbiamo concentrato la nostra attenzione sui cambiamenti nel moto di questi pennacchi, confrontando i risultati delle osservazioni con altre da me effettuate a bordo di un aereo 65 minuti prima».

Due anni fa, a fine estate 2017, un’eclisse totale di Sole ha attraversato quasi per intero gli Stati Uniti, consentendo osservazioni molto dettagliate. Che cosa ci dicono oggi di diverso i dati raccolti?
«È ancora troppo presto per esprimerci compiutamente. Abbiamo già notato che la temperatura complessiva della corona è inferiore a quella che avevamo misurato cinque anni fa, e un po’ più bassa rispetto a quella misurata nel 2017. Non abbiamo però ancora a nostra disposizione i dettagli relativi ai cambiamenti nelle eruzioni coronali e nei grandi pennacchi polari rispetto al 2017. Ma in entrambe le occasioni abbiamo avuto condizioni osservative eccellenti, quindi mi aspetto dati “puliti” e affidabili».
Come vengono elaborati i dati?
«Ne esistono di vari tipi, e ogni categoria è trattata in modo differente. Per le immagini, per esempio, ricorriamo a dark frame e flat field per minimizzare il rischio di distorsione. Le prime sono immagini digitali contenenti soltanto “rumore”, che utilizziamo per correggere le immagini vere e proprie; le seconde sono speciali immagini di calibrazione che servono per mappare le differenze di sensibilità e la disomogeneità del piano focale delle nostre macchine fotografiche digitali. Entrambe sono tecniche ormai standard nel campo della fotografia astronomica, e consentono di sviluppare immagini di altissima qualità. Il lavoro di elaborazione dei dati raccolti impegnerà me, i miei studenti e i miei collaboratori per anni».
Immagino che lei partirà presto per una nuova spedizione. Quando sarà la prossima eclisse, e dove sarà visibile?
«Un’eclisse anulare sarà visibile nell’India meridionale, in Sri Lanka e a Singapore il prossimo 26 dicembre. Un’altra eclisse anulare sarà visibile tra l’India, il Tibet e la Cina meridionale nel giugno del 2020. La prossima eclisse totale sarà osservabile in Cile e Argentina, il 14 dicembre 2020. Alla nostra squadra di ricercatori si affianca spesso anche un gruppo di amici e astronomi dilettanti: lei naturalmente è invitato».