il Giornale, 13 luglio 2019
Il problema Deutsche Bank
Ad Antonio Patuelli è toccato ieri celebrare i cento anni dell’Abi, l’associazione che guida le banche italiane. Patuelli più che un banchiere è un politico, con un bel passato nell’ala sinistra del partito liberale, e alla guida di un’associazione che ha perso il ruolo e il peso di una volta.
Molte cose interessanti, come sempre, sono state dette: dalle regole che soffocano le imprese creditizie, al rischio dello spread.
Poi però fuori dal salotto, Gian Maria Gros-Pietro, presidente della più importante banca italiana Intesa Sanpaolo, e forse tra le più solide d’Europa, ha detto, in poche parole, l’unica cosa che meriterebbe titolo: la situazione di Deutsche Bank «è un problema gigantesco e speriamo che venga risolto». E ha continuato: «Da noi i crediti deteriorati sono scesi sotto la metà, nello stesso tempo le banche italiane sono quelle che hanno fatto le maggiori operazioni di consolidamento e di aggregazione. Ci sono degli altri rischi sistemici che potrebbero interessare tutto il sistema bancario europeo mentre le crisi bancarie italiane sono state pagate esclusivamente con i soldi degli italiani, in larga parte con i soldi delle banche italiane, quelle sane».
La principale banca tedesca sta tagliando 18mila dipendenti e ha titoli ad alto rischio per 74 miliardi. Gros-Pietro non lo dice esplicitamente, ma lo fa capire. Se salta la banca tedesca, sono guai per l’intero sistema finanziario mondiale. Eppure i regolatori europei si sono occupati solo delle banchette italiane. I loro crediti dubbi sono stati svenduti, abbiamo terrorizzato il mercato, e distrutto le imprese a valle del sistema creditizio.
Patuelli un giorno ci potrà dire quanto sia costato in termini di Pil questo penalizzante atteggiamento europeo, e potrebbe anche raccontarci che cosa i governi seri, quelli di Monti, Renzi e Gentiloni, abbiano ottenuto sui tavoli europei in cui venivano tanto ris