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 2019  luglio 13 Sabato calendario

Biografia di Andrea Levy (Salone dell’Auto)

«Supertorinese». «Sabaudo». «Misurato». «Uno che non molla mai, ma si fa strada con gentilezza». Chi lo conosce bene, descrive un Andrea Levy, 48 anni, l’inventore del Salone dell’auto che da Torino traslocherà a Milano (format «diffuso»: circuito cittadino attorno al Duomo per la parata d’apertura, il 17 giugno 2020, ed esposizione su diverse aree verdi, da Milano al Parco di Monza), sereno e concentrato nella preparazione del motor show, evento giovanissimo (nato nel 2015), ma già prestigioso. Le polemiche? «Mi tenga lontano, per cortesia», risponde. L’unica responsabilità che sente ora, tiene a dire, è verso gli appassionati. Piccoli o grandi che siano, dallo sconosciuto entusiasta dell’edizione di giugno (700 mila presenze, 54 marchi, la sfilata di 2.000 supercar da tutto il mondo) che lo incoraggia via Facebook a una divinità della meccanica come Gian Paolo Dallara, che gli telefona per confermare stima e pieno appoggio. 

Scontento di lasciare la sua Torino, forse, un po’ lo è: naturale per uno che da bambino sognava a occhi aperti vedendo passare, fra Moncalieri e Cambiano, i misteriosi prototipi di Giugiaro e Pininfarina. Ma il suo progetto è sempre stato quello di un grande, popolare, salone italiano. Sottolineato italiano. E se Torino pesa nella storia dell’auto, Milano non è da meno. Torino ci rimane male quando la viabilità s’inceppa? Milano è abituata alle settimane (internazionali) della moda e del design. Ma a Levy non si strappa una parola di troppo, né contro (Torino) né pro (Milano). 
L’uomo al centro, suo malgrado, dello scandalo di queste ore non vuole essere trascinato nelle baruffe dei partiti. Le sue passioni sono altre, e tutte allegre. La prima è il marketing, studiato all’Università di Reno, in Nevada. La seconda è l’automobile: colleziona Ferrari, Aston Martin, Porsche; corre in pista; gira il mondo per gran premi, saloni, raduni. La terza è il cinema: dal megaimpianto di casa passano le saghe di 007 e di Fast and Furious. Più che la moglie, Sabrina, psicologa, ad assecondare la dedizione ai motori sono le figlie Federica, 15 anni, e Sara, 11, che seguono il padre ovunque e lo rimproverano quando vende qualche pezzo del garage. 
Il motor show «alla Levy»? Ingresso libero e aria aperta. L’idea matura seguendo l’andamento in picchiata dei soliti, faraonici appuntamenti, mentre quelli en plein air, dalla Mille Miglia al festival di Goodwood, sono in ascesa. Da una parte le facce tirate dei costruttori, in fuga per l’insostenibilità dei costi; dall’altra il sorriso delle famiglie. 
L’impostazione è – parola di Levy – «democratica»: stand modulari forniti dall’organizzazione (così nessuno può spadroneggiare), pochi modelli (massimo sei), attività dinamiche (a Milano si potranno provare le vetture elettriche: lui guida abitualmente una Tesla). A gradire la sostenibilità di questo salone «passionale, aperto, senza fronzoli, concreto e dinamico» – descrizione che sembra un autoritratto – sono anche i brand: all’inizio 25, all’ultima edizione 54. Si chiama successo.