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 2019  luglio 13 Sabato calendario

Intervista a Michael Collins, il pilota dell’Apollo 11

Michael Collins è stato il pilota del modulo di comando dell’Apollo 11.
Ora come passa il suo tempo?
«Beh, sono un buon pensionato, perché ho un sacco di hobby. Faccio molto esercizio fisico e un mini-triathlon all’anno e passo molto tempo a pescare. Dipingo ad acquerello e investo molto tempo - non un sacco di soldi, ma un sacco di tempo sì - a preoccuparmi del mercato azionario».
Quanto sta seguendo il programma spaziale?
«Non lo seguo veramente, leggo "Aviation Week" e giusto quello che vedo sui giornali. Ma questo tipo, Jeff Bezos, è interessante».
C’è qualcosa che le risveglia i ricordi dell’Apollo?
«La Luna a volte mi sorprende. Esco di notte, vedo una bella Luna, e dico "Ehi, che meraviglia". "Allora mi dico: "Una volta sono andato fin lassù!". Un po’ ’mi sorprende: è come se ci fossero due Lune. Quella che si vede di solito e poi quell’altra».
Ha visto le foto del Lunar Reconnaissance Orbiter della superficie della Luna?
«Sì, sono fantastiche. Non riesco a immaginare che effetto possano fare a chi sostiene che non ci siamo mai andati. Penso che il numero resti costante: il 6% degli americani credono che sia una bufala. Questo dovrebbe farmi sentire offeso, ma in realtà mi fa ridere».
Come pensa che stia andando la ricerca per mandare qualcuno su Marte?
«Sono un sostenitore di Marte da anni. Ero solito scherzare e dire che la Nasa dovrebbe essere ribattezzata "Nama", "National Aeronautics and Mars Administration". E ora non è più uno scherzo: penso che forse potrebbero riuscirci. Il mio amico Armstrong pensava che fosse una buona idea avere un punto di sosta sulla Luna ed era un ingegnere molto più bravo di me. Quindi rispetto le persone che vogliono un base lunare. Non sarò io, ma andremo su Marte».
Cosa pensa quando Elon Musk dice di voler mandare gente su Marte nel 2020?
«E’ dannatamente fortunato o è dannatamente bravo. O forse entrambe le cose. L’idea di un lander verticale è più economica, ed è un’idea abbastanza ovvia, ma era una cosa a cui non avevo mai pensato. Ma è difficile immaginare un’impresa totalmente privata per inviare molte persone su Marte: si parla di centinaia di miliardi di dollari. Deve essere un’impresa internazionale. L’obiettivo è abitare, non piantarci la bandiera americana».
L’idea di rischio è cambiata rispetto agli Anni 60. Pensa sia ancora possibile affrontarlo?
«Se aspettiamo che tutto sia sicuro al 100%, non andremo da nessuna parte. Quindi sto dalla parte dei pazzi che vogliono assumersi un sacco di rischi, piuttosto che con quelli più razionali».
Che tipo di persona pensa di essere?
«Ci sono due tipi di astronauti: quelli che lo sono per tutta la vita e Aldrin è un buon esempio. E’ il signor spazio, spazio, spazio. Io appartengo all’altra categoria. Essere un astronauta è stato il lavoro più interessante che abbia mai fatto, ma quando te ne vai è chiusa».
(Copyright Airspacemag.com - Traduzione di Carla Reschia)