Il Messaggero, 13 luglio 2019
Gibellina celebra Mistero buffo
Curioso che nel nostro Paese, dove si piange fin troppo facilmente sulla tomba di coloro che non ci sono più, mentre si fa una gran fatica a celebrare il talento dei vivi, si sia dimenticato un anniversario tondo di alto valore culturale: i cinquant’anni di Mistero Buffo. Se ne sono ricordati invece in Sicilia, dove si sta svolgendo la trentottesima edizione delle Orestiadi di GIbellina. Questa sera al Baglio di Stefano, l’attore genovese Ugo Dighero, 60 anni, rappresenterà due monologhi tratti dalla celebre opera di Dario Fo, Il primo miracolo di Gesù bambino e La Parpaja Topula: «Sono opere che non mi stanco mai di recitare», dice lo stesso Dighero, che il grande pubblico conosce per il ruolo di Pittaluga nel Medico in famiglia.
Era il 1969 quando Dario Fo e Franca Rame misero in scena di fronte a 3000 studenti della Statale di Milano quei monologhi immaginifici di solida tradizione popolare, riedizioni in grammelot di giullarate e fabliaux del Medioevo. «Alla fine ci fu un’esplosione festosa veramente sconvolgente ma i più felici eravamo io e Franca, perché insieme avevamo rovesciato un luogo comune invalicabile: volevamo dimostrare che nel nostro Paese non esistono soltanto la poesia e la cultura aristocratica, ma anche quella popolare», ricordava lo stesso Fo nel 2016, pochi mesi prima della sua morte.
Quella stessa estate del 1969, i due artisti milanesi vollero portare Mistero Buffo alle Orestiadi, tra le baracche di Gibellina, come gesto di solidarietà nei confrontti degli sfollati del Belice, che dopo il devastante terremoto del 15 gennaio del 1968 vivevano in condizioni di totale disagio.
Lo spettacolo di questa sera trattiene quindi la memoria di quel gesto rivoltoso, il potere della testimonianza d’artista a fianco di coloro che hanno perso tutto. «Questo è un Paese che non ricorda più nulla», commenta Ugo Dighero. «Io rappresento Mistero Buffo da trent’anni, ma chi se ne cura?. Di certo Mistero Buffo oggi non fa paura a nessuno. Dopo tutto quello che si è letto e visto negli ultimi cinquant’anni, una rilettura, per quanto ardita, dei Vangeli apocrifi non può suscitare scandalo. La punizione afflitta in epoca contemporanea ha, semmai, i toni dell’indifferenza, il sapore dell’oblio. «Quando Dario Fo e Franca Rame irruppero sulla scena milanese, furono considerati dei disturbatori della quiete pubblica. Adesso nessuno si sognerebbe di andare a sentire cosa dicono a teatro due giullari», riflette Dighero. Jacopo Fo, il figlio di Dario, ha denunciato sonoramente il fatto che questo cinquantenario sia stato dimenticato da tutti. «Ha ragione. Abbiamo perso la memoria. È per questo che i nostri politici possono permettersi di fare una dichiarazione che viene completamente smentita e contraddetta il giorno dopo, senza che questo provochi turbamento o indignazione nei cittadini» commenta Dighero.
Quando Dario Fo ricevette il Nobel per la Letteratura, nel 1997, nelle motivazioni degli accademici di Stoccolma si faceva riferimento al coraggio «di emulare i giullari medievali flagellando le autorità e sostenendo la dignità degli oppressi». Eppure molti protestarono per quel Nobel. Si pensò a una boutade degli Accademici di Svezia, e pochi erano pronti a giurare sul fatto che quei testi avrebbero retto all’azione del tempo. «Dario Fo è l’autore italiano più tradotto e rappresentato nel mondo. È ovvio che alcuni testi come Morte accidentale di un anarchico sono troppo legati alle vicende dell’epoca, e quindi più datati conclude Dighero. Ma un’opera come Mistero Buffo non morirà mai. La sua forza sta nell’invenzione linguistica».