Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 13 Sabato calendario

I netturbini romani che rubavano la benzina

Così fan tutti, hanno detto i netturbini colti a rubare per mesi la benzina dell’Ama. «Vedevo i colleghi che facevano lo stesso...», si sono giustificati davanti alla commissione disciplinare, con tanto di «scuse» per avere frodato l’azienda del Campidoglio e quindi i romani. E la partecipata, incredibilmente, li ha graziati: niente licenziamento, solo una lavata di capo, con una sanzione di 19 giorni, poi tutti di nuovo nei ranghi. Si dirà: avranno capito la lezione, dopo tanta clemenza. Macché: in 5 si sono fatti beccare di nuovo e la società comunale, a quel punto, li ha dovuti licenziare per forza.
In una municipalizzata colabrodo dove l’assenteismo galoppa a livelli record – nei primi mesi del 2019 si è registrato un picco di netturbini in malattia che non si vedeva da cinque anni – e che fallisce puntualmente quasi tutti gli obiettivi che si prefigge, dalla percentuale della raccolta differenziata alla produzione dei rifiuti da raccogliere, c’è una storia che descrive bene i danni prodotti dal consociativismo tra sindacati e dirigenti. E che conferma ciò che dovrebbe essere scontato: sposare la linea morbidissima (anziché quella severa) contro fannulloni o peggio truffatori, non paga. Anzi.
La prima inchiesta sui furti di gasolio all’Ama nasce nel 2017. Ad avviarla è l’ex presidente Lorenzo Bagnacani, manager nominato da Virginia Raggi due anni fa e poi silurato a febbraio, il quinto manager cambiato dalla sindaca nella società dei rifiuti in tre anni di governo. Bagnacani, poco dopo l’insediamento, si fa portare i numeri sul chilometraggio dei mezzi e scopre che i conti non tornano, se confrontati con i soldi spesi per il carburante. Lo scostamento era di 3mila litri. Almeno. Insomma, i mezzi succhiavano molto più gasolio di quanto avrebbero dovuto. Tradotto: viaggiavano poco, ma costavano molto. A quel punto, anche attraverso l’ingaggio di investigatori privati, si è iniziato a controllare da vicino l’operato di alcuni dipendenti sospetti. E 20, solo dal 2017 al 2018, sono stati beccati con le mani nel sacco. Anzi, nel serbatoio.
Un vero e proprio sistema, una tecnica collaudata, sia per sottrarre carburante nei distributori aziendali (dove con tanta fatica solo ora si montano le telecamere – i sindacati naturalmente erano contrari, questione di «privacy»), sia per sfruttare come bancomat le card aziendali. Insomma pagava l’Ama, ma la pompa riforniva le auto private dei dipendenti. 
Un lavoratore, una volta scoperto, nell’estate del 2017, ha confessato: «Le carte erano nell’ufficio, in un cassetto». Incustodite. E così una la prendeva per far marciare il mezzo di servizio e «una seconda carta, oltre quella assegnata con il foglio di marcia» la sfruttava per guadagnarci. «Il gasolio l’ho venduto ai conoscenti», ha ammesso il netturbino, come tanti altri colleghi. A chi gli chiedeva da dove venisse la tanica, rispondeva di «aiutare un amico». Ora viene automatico immaginare che dopo una simile ammissione, il dipendente sia stato messo alla porta in un battibaleno. Invece no: «19 giorni di sospensione» è quanto ha deciso, ad agosto del 2017, l’ex direttore del Personale dell’Ama, dopo avere ottenuto il verbale controfirmato dai sindacati.
È andata così anche per altri colleghi di truffa del netturbino. «Ho usato questa pratica a partire dall’aprile 2017 per 7 o 8 volte al mese. Effettuavo prelievi di 25/30 litri. E ho venduto il gasolio ai conoscenti», racconta un altro operatore dell’Ama, sempre davanti alla commissione. Un altro netturbino ancora: «Utilizzavo la scheda carburante di un mezzo fermo e mi facevo riempire le taniche di 10-15 litri di gasolio». La provvista «veniva utilizzata per rifornire la mia Fiat Stilo». Tra i netturbini dediti al furto di carburante c’è anche chi ha ammesso di intascare pure «l’indennità per il raggiungimento della sede di lavoro», sempre pagata dall’Ama. «Abito alla borgata Finocchio, è lontano...», si sono sentiti dire gli ispettori. Chi è finito sotto inchiesta ha detto quasi sempre la stessa cosa: «Questo era un comportamento diffuso», «vedevo altri colleghi negli stessi distributori». L’Ama, sentite queste parole, ha avuto clemenza per tutti. Ma tanta indulgenza, si diceva, non è servita: in cinque sono stati sorpresi a rubare di nuovo. E almeno stavolta sono stati licenziati.