Il Messaggero, 13 luglio 2019
Storie sull’oro di Mosca
Rieccolo, vero o presunto, l’oro di Mosca. Che si muove o immaginano che si muova come un fiume carsico che dal 900 sconfina nel secolo successivo, irrorando partiti – se davvero la vicenda riguarda la Lega – tra loro diversissimi e incomparabili. Se non per questo aspetto dei soldi. Che al Pci però arrivavano in maniera certificata e contabilizzata, e basta vedere il famoso dossier Mitrokhin, ex archivista del Kgb nel palazzo della Lubjanka, per rendersi conto di quel flusso che soltanto negli anni 90 finì nonostante Berlinguer si fosse detto più sicuro di stare sotto l’ombrello della Nato piuttosto che sotto la cappa dei sovietici che non lo amavano. Ma non lesinavano fondi a Botteghe Oscure.
Ed è paradossale ora che Salvini sia inseguito da un’immagine, quella appunto dell’oro di Mosca, connaturata ai comunisti. Che lui tuttora – «Carola? Una comunista» – considera, in maniera anti-storica, suoi avversari. Ma né prima né adesso, in questa storia paradossale di suggestivi rimandi ma di totali differenze, si parla di rubli. Perché l’oro di Mosca sempre stato in dollari. E di questi si è sempre parlato all’Hotel Metropol.
Che è il palazzone tra liberty e art nouveau che è stato non solo il set del film del Dottor Zivago e il luogo evocato da Bulgakov nel Maestro e Margherita e quello in cui Stalin e Mao firmarono il primo accordo commerciale russo-cinese, ma è anche quello delle conversazioni intercettate di Savoini in questo affaire leghista. E siccome i luoghi non si smentiscono mai, il Metropol anche ai tempi del Pci è stato spesso la location dei rapporti politici e finanziari tra russi e comunisti italiani.
SEDE DEL SOVIET
E sarà perché da albergone zarista dove aveva alloggiato anche Rasputin fu trasformato nei mesi successivi alla rivoluzione d’Ottobre nella sede del soviet supremo – nella stessa sala colazione dei colloqui di Savoini, Lenin arringava i bolscevichi da un palchetto – gli emissari del Pci amavano alloggiare qui, proprio di fronte alla Piazza Rossa, e Armando Cossutta il più filo sovietico dei dirigenti comunisti al Metropol era di casa (Togliatti è associato invece all’Hotel Lux). E comunque gli storici hanno fatto emergere, calandosi negli archivi del Pcus, che la massa dei finanziamenti elargiti a Botteghe Oscure è stata la più ingente mai ottenuta da un partito comunista europeo. Il Pci ricevette, dalla fine della Seconda guerra mondiale fino agli anni novanta, 989 miliardi.
Il 12 dicembre del 47, Pietro Secchia dopo averlo incontrato al Metropol disse a Zdanov, il guardiano dell’ortodossia ideologica sovietica: «Vorremmo un aiuto di 600mila dollari, che corrispondono all’incirca a 350 milioni delle nostre lire». Due giorni più tardi, il dirigente del Pci trattò addirittura con Stalin la modalità di pagamento: «Andrebbe bene sia in un’unica rata sia in più rate a quattro mesi». E Stalin, un po’ perplesso: «Si sta parlando di mettere soldi in grandi secchi che pesano 40-50 chili?».
Figura cruciale in questo sistema politico-finanziario è stato Gianni Cervetti, dirigente milanese, corrente migliorista, rispettatissimo dal suo partito anche perché maneggiava le fonti di sostentamento. Ha raccontato in un libro del 1993, L’oro di Mosca, il suo ruolo di incaricato a bussare alla porta di Boris Ponomarev, ovvero il capo sovietico del Dipartimento per i rapporti con i partiti comunisti occidentali dal 1957 al 1986.
Il grande giornalista Vittorio Gorresio, nella sua biografia di Berlinguer del 1976, definì Ponomarev «il cane da guardia messo dal Cremlino a sorvegliare e ad alimentare il grande gregge dei partiti comunisti non al potere». In pratica il delegato del Pci, si rivolgeva a questo simpatico personaggio per chiedere un sostegno economico al Cremlino. E loro, parola di Cervetti, «ci pagavano in dollari». Racconta pure, l’ex tesoriere del Pci, che quando Berlinguer decise di porre fine al flusso di dollari moscoviti (anche se su questo ci sono documenti contrastanti) i contributi da parte del Pcus continuarono ad arrivare ugualmente in favore del «membro della direzione del nostro partito, il compagno Cossutta».
I MEDIATORI
E che cosa dire dei finanziamenti indiretti? Anche qui, certe possibili assonanze tra presente e passato pur essendo incongrue sono irresistibili. I finanziamenti indiretti passavano attraversa ditte che svolgevano un lavoro di intermediazione tra Russia e Italia.
Nel 1992, il Procuratore generale della federazione russa, Valentin Stepankov, documenti alla mano chiese conto a Cossutta di una ricevuta da lui firmata nel 1987 di accettazione di 670 mila dollari con tanto di bigliettino di ringraziamento dell’Armando.
Nell’archivio Mitrokhin, che non era certo un bel personaggio, la scheda 122 è preziosa. Racconta nel dettaglio il fiume di soldi dal Cremlino a Botteghe Oscure tra 1970 e il 1977. Nel 71, furono versati 1.600.000 dollari; nel 72, 5,2 milioni; nel 74, 9 milioni di dollari; per il 76, 6,5 milioni, infine, nel 1977, 1 milione. Un flusso che sembra almeno rallentare, in concomitanza con le posizioni eretiche di Berlinguer. E altri soldi, finirono pure al Psiup tra il 1969 e 1972. E tutto questo appartiene alla grande, e terribile, storia. Mentre il caso Savoini non si sa bene che cos’è e per ora oltre a scatenare suggestioni e polemiche non ha prodotto dati di fatto. A meno che non spunti un nuovo Mitrokhin.