il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2019
I segreti del Metropol
I corridoi verde pastello, i muri gialli, le passatoie blu. E le cimici. Nel grande, leggendario Metropol di Mosca, nel luogo esatto in cui la Rivoluzione d’Ottobre scelse di farsi ritrarre e il compagno Lenin di tenere il discorso di insediamento del Soviet, tutto era consegnato alle virtù e ai vizi della storia e delle sue trame che sempre la stringono in un fil di ferro. LENIN, com’è noto, parlò sul palco della sala delle colazioni, dove oggi un’arpista rivela il suo talento ai soggiornanti: siano essi turisti, uomini d’af – fari o spie (e comunque, per questa notte: camera doppia standard a 221 euro, c’è ancora disponibilità). Non abbiamo la certezza che Gianluca Savoini abbia letto Bulgakov, che del Metropol parla nel Maestro e Margherita, né sappiamo quanon possiamo garantire se esse abbiano davvero contribuito, sotto l’ombrello di ortensie meravigliose o gerani putiniani, al corredo vocale della storia contemporanea. Per gli scettici è previsto un tour domenicale di due ore, a pagamento perché la Russia affronta la modernità grazie ai rubli e su di essa fonda le sue credenziali, che permette di visitare ogni cosa, anche l’a sc e ns ore tutto vetri, il primo di Mosca, e infine terminare con un gustosissimo bru nch. Anche i turisti, gli uomini d’affari e gli eventuali spioni hanno goduto e godono del grande talento dello chef di casa: al Metropol si mangia benissimo, blinis e caviale, borsh e pesce. La coniugazione di un lusso sempre sorvegliato e comunque piuttosto vistoso con la centralità della posizione, che apre alla piazza della Rivoluzione e ha di fianco il Bolshoj, hanno destinato l’albergo a testimone dei passaggi più delicati della politica internazionale. Nella sala Boyarsky Mao Zedong ha sottoscritto il primo trattato commerciale tra Cina e l’Urss, nelle suite hanno dormito Mitterand e Obama, e anche Lenin e pure Stalin. I grandi e i grandissimi. Ed è probabile che Matteo Salvini abbia soggiornato lì nelle varie escursioni moscovite, con colbacco o senza. C’è un Salvini junior e uno senior, ma sempre con Savoini a fare da apripista, legatissimo all’idea che con Putin bisogna trattare affari, che la Padania ha con la Russia una particolare vocazione alla fatturazione milionaria da difendere. Savoini è un habitué del Metropol, e da habitué do – veva tenere presente che l’unica controindicazione, la sola vera uscita di sicurezza fosse quella di parlare il meno possibile, o di interloquire con rispettosa vaghezza deviando l’argine del discorso verso destinazioni innocue. GLI AVREMMO suggerito di parlare del lago di Varese, di attardarsi sulla capacità dei pescatori, guidati per anni dal padre di Giancarlo Giorgetti, di raccogliere dalle acque una quantità enorme di pesce gatto, pietanza prelibata per i senegalesi con la cui comunità si è instaurato un bel rapporto mercantile. Savoini avrebbe così girato al largo dalle questioni più politicamente scabrose illustrando, in un innocente quadro di cronaca parallela, la capacità leghista di fare affari senza guardare al colore della pelle, figurarsi al resto.