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 2019  luglio 12 Venerdì calendario

Il business di Gwyneth Paltrow

Il mondo di Gwyneth Paltrow è tondo come le due “o” del suo logo aziendale, Goop, due “o” per separare le sue iniziali e ricordare agli utenti del sito, in modo subliminale, il più grande successo tech della storia - Google. Il mondo di Gwyneth è tondo come gli zeri - tanti zeri: sette - del fatturato della sua azienda, 250 milioni di dollari, 219 milioni di euro grazie ai prodotti di bellezza, ai vestiti e agli accessori minimal e senza logo, alle conferenze costosissime (l’accesso a quella di Londra, due settimane fa, andava da mille a quattromilacinquecento sterline, da 1115 a 5015 euro). Il mondo di Gwyneth è tondo come le uova di giada (66 dollari, 58 euro) che ha venduto a lungo sul suo sito e che vende tuttora nel negozio di Brentwood, a Los Angeles, uova da inserire vaginalmente per ottenere una serie piuttosto nebulosa di effetti positivi sulla salute, uova che le sono costate 145mila dollari di multa per pubblicità ingannevole. Il mondo di Gwyneth è tondo, soprattutto, come gli occhi: gli occhi di chi frequenta il suo sito e di chi utilizza la sua app “G.Spotting” e di chi legge la sua rivista. «Posso monetizzare quegli occhi», ha detto agli studenti di Harvard dove era comprensibilmente stata invitata a parlare, imprenditrice che ha inventato dal nulla un’azienda di successo globale. Non ha avuto la freddezza - né l’autoironia - di realizzare delle t-shirt con la scritta «I can monetize those eyeballs» ma il segreto del suo successo è tutto lì: monetizzare. 
Di solito le attrici da Oscar come lei monetizzano la loro carriera - e la statuetta d’oro - affiancando al cinema comparsate negli spot, apparizioni alle sfilate e nelle campagne pubblicitarie del mondo del lusso. Lei, partendo letteralmente dal tavolo della cucina di casa, ha creato un’azienda-modello, cavallo di Troia capace di portare con il suo sorriso prima nella case di migliaia di donne americane e poi anche nel resto del mondo il mondo di Gwyneth, e il suo verbo. La parola magica, la combinazione che schiude la cassaforte di quel fatturato impressionante, è “wellness”. Star bene, un vocabolo che prudentemente evita di presentarsi come medicina per restare nel campo più generico del benessere - quando discusse una partnership con la Condé Nast americana, editore di Vogue e New Yorker, il problema insormontabile fu la scientificità delle asserzioni di Goop. Perché le riviste di medicina hanno uno standard diverso, parlare di bibitoni vegetali e uova di giada e creme di bellezza funziona, certo, ma ovviamente in base a standard scientifici differenti (per esempio: un vaporizzatore vaginale che secondo Goop avrebbe effetti positivi sugli scompensi ormonali della menopausa non aveva retto al fact-checking medico, la verifica dei fatti che indicava invece rischi di ustioni e problemi di pH e nessun vantaggio provato).

Parole magiche
Non importa. Nel mondo di Gwyneth, è tutto molto bello. Bellissimo. Nella massima tranquillità. Per Goop, wellness è e resta una parola magica, il ponte tra new age e moda, un ponte sul quale c’è un’attrice famosa in tutto il mondo, bionda e sorridente, come garante. La 46enne Gwyneth ha varato la sua azienda per un motivo semplice. L’ha spiegato proprio al recentissimo “summit” londinese, intervistata da Penélope Cruz maestra di cerimonie: nel 2003 Paltrow si trasferì a Londra, da Los Angeles e New York, per seguire il neomarito Chris Martin, leader dei Coldplay. «E uno degli aspetti più importanti del vivere qui, all’estero, da straniera, fu l’esperienza di costruire una vita in un posto con il quale non ero familiare. Ma sono riuscita a vedere cose che a altri sarebbero sembrate normali. Mi ha dato una svegliata». 
L’intuizione, semplicissima, è che tutti - o quasi tutti - si sentono stanchi. Non è esattamente una malattia che un medico può diagnosticare, è più che altro il prodotto di una vita, quella del 2019, innegabilmente complicata da gestire. Ma un sito di e-commerce, una newsletter, una rivista, possono dare una mano. Come? Vendendo un rimedio alla stanchezza, ai dolorini, alla tensione, a un pubblico che è nella stragrande maggioranza femminile. Vendendo autostima a prezzi non popolarissimi ma abbordabili, con Gwyneth stessa come testimonial, mamma e moglie (dopo il divorzio da Martin, da lei definito “conscious uncoupling”, separazione cosciente, nell’ilarità globale, si è poi risposata con Brad Falchuk, sceneggiatore e produttore del serial “Glee”). 
Paltrow è inaffondabile: il gergo tra psicologia e new age che usa Goop sembra ostico - «Non so bene di che ca... parliamo», ha ammesso lei con lodevole franchezza in un’intervista allo show del comico Jimmy Kimmel - ma le soluzioni sono sempre pronte: massaggi ayurvedici, verdura cruda, suffumigi, creme dai nomi buffi: tutto fa wellness nel gran calderone di Goop, che non a caso significa, letteralmente, sostanza vischiosa (al di là del gioco con le iniziali GP e la doppia O di Google). 
Il suo genio è la creazione di un mondo nel quale tantissime donne si sentono a proprio agio, se non proprio capite almeno ascoltate: umane, alla fine. Per questo irridere Paltrow - al di là del lessico improbabile e della scientificità probabilmente traballante di molte soluzioni e dell’ovvio cinismo del “monetizzare” quei bulbi oculari che attrae con tanta bravura - è un errore. La banalità delle soluzioni proposte non cambia la sostanza dei problemi delle sue clienti, che non sono problemi immaginari: è il paradosso del wellness, industria che Paltrow coniuga con self-help e moda, sostenendo che con la dieta giusta e la camicia di lino giusta e il dentifricio giusto ci si può sentire se non proprio amati almeno considerati. È il business dell’insicurezza, pozzo di denaro senza fondo al quale attingere - Umberto Eco diceva, con una battuta delle sue, che il modo più sicuro per diventare ricchi in poco tempo è scrivere un libro su come diventare ricchi in poco tempo, ci sarà sempre chi lo compra, illudendosi - ma nel quale la sincerità è fondamentale: Paltrow ha ammesso senza perifrasi i suoi problemi di depressione, la fine del suo matrimonio è stata subappaltata a Habib Sadeghi e Sherry Sami, i suoi guru di “psicologia spirituale” che adattano la filosofia buddhista, la meditazione, la psicoterapia alle esigenze dei pazienti/clienti.