Il Messaggero, 12 luglio 2019
Simenon sul Mediterraneo
Il Mare Nostrum incantò Simenon per la «saggezza involontaria, ereditata da remoti progenitori» dei suoi abitanti, abituati da secoli ad affrontare con lo stesso serafico atteggiamento gli anni di penuria e quelli di abbondanza, senza alcuna traccia di rassegnazione. Rapito da un viaggio in goletta con un equipaggio di marinai italiani, lo scrittore di Liegi vide negli abitanti del Mediterraneo una stirpe composita di aristocratici; e il suo Il Mediterraneo in barca (appena pubblicato da Adelphi) racconta, con lo stesso entusiasmo onnivoro di Predrag Matvejevi, la grandezza di un mare che evoca antichi splendori, connessioni nascoste, lampi di desiderio. In articoli raccolti in volume come un lungo diario, scritti con ispirazione in una casa cadente dell’Elba o nel porto di Hammamet, l’autore abbandona le atmosfere noir del suo Maigret, con la pipa e il bicchiere di calvados in mano, per sviscerare i segreti della navigazione, raccontare gli aneddoti dei lupi di mare, alla maniera di un nobile d’altri tempi, alle prese con il Grand Tour.
Il protagonista di questo libro dal ritmo sincopato è il vento, che a seconda della sua forza permette di veleggiare, oppure di regalarsi soste forzate e improvvise. Il reportage di viaggio del 1934, passando per Tunisi, Malta, Messina, Siracusa, è corredato dalle fotografie dello stesso Simenon. «La settimana prossima parto. Le interessano dodici articoli?», diceva lo scrittore, nella veste di reporter d’eccezione, a un amico giornalista.
IL GIALLODi ben altro tenore un altro libro di Simenon appena uscito, Marie la strabica (prima pubblicazione, 1952) in cui torniamo alle atmosfere torbide e noir dell’autore di Maigret. Un’amicizia tra due ragazze agli opposti: la bella e arrivista Sylvie e la bruttina e sprovveduta Marie, che sboccia nel 1922, nel borgo turistico di Fouras, in un albergo dove le giovani trovano impiego, e che riprende a Parigi, nel 1945, quando si ritrovano per caso. Il distacco dei piani temporali non cambia la sostanza del loro rapporto. Così, dopo qualche attimo di esitazione, di vergogna per lo slancio iniziale, poi di imbarazzo per la successiva ritrosia, si ritrovano a scambiarsi un bacio «quasi per forza».
«I difettosi dell’anima si conoscono e si fiutano l’un l’altro», diceva Hugo von Hoffmannsthal; e così è per le protagoniste del libro di Simenon, costrette a rincorrersi e a rifiutarsi in un vertiginoso gioco di specchi e di non detti, che attrae il debole verso il forte, e viceversa; perché carnefice e vittima sono immagini intercambiabili di una stessa medaglia. E chi sacrifica ogni cosa in nome di un sogno finisce per diventare schiavo del suo stesso desiderio.