la Repubblica, 12 luglio 2019
Intervista a Susanna Tamaro
Repubblica Week End
di Silvia Luperini Sedici milioni di copie vendute nel mondo, traduzioni in più di 50 lingue, un film girato da Cristina Comencini: Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro ha compiuto 25 anni. Nel frattempo, l’autrice triestina ha scritto altri 32 libri – fra romanzi, fiabe per bambini e saggi – ai quali si aggiungerà a settembre Alzare lo sguardo (Solferino editore) e il documentario, Inedita, di Catia Bernardi sulla sua vita. Intanto il suo bestseller è diventato longseller: in Turchia è arrivato alla 158a ristampa e in Italia è stato ripubblicato da Bompiani. «Il successo è stato travolgente. Ero in un ascensore in Equador con un signore. Mi fissava. Poi ha aperto la sua 24 ore: dentro c’era Va’ di porta il cuore che ho trovato persino in Namibia. Pazzesco. Mi stupisce e mi emoziona». Come se lo spiega? «Il libro è stato venduto dal Sud America al Medio Oriente. Dove le strutture famigliari sono forti è andato meglio. Il successo mi ha regalato tranquillità economica – ho comprato una casa a Orvieto – e mi sono salvata dalla dannazione perché non mi è mai interessato replicarlo. Avrei potuto firmare contratti milionari, ma ho preferito non legarmi a nessuno per poter scrivere anche solo per tremila persone». Il pappagallo di “Luisito”, lo scoiattolo di “Il grande albero”, Buck di “Va’ dove ti porta il cuore”. Perché tanti animali nei suoi romanzi? «Soffro della sindrome di Asperger che mi impedisce di capire le emozioni delle persone, i doppi sensi e di decifrare il linguaggio dell’altro, con l’ansia e i fraintendimenti che ne conseguono. Con l’animale invece non ci sono malintesi, il codice è quello e l’affettività è libera di esprimersi senza vincoli di comprensione. Fin da bambina, è stato fondamentale avere un animale vicino, ne ho moltissimi». Ci fa un inventario? «Tre cani, quattro gatti, un cavallo, nel tempo ne ho salvati tanti dal macello. E poi un asino, una voliera con pappagalli, una di passeracee, galline e un laghetto con pesci rossi, tritoni, rane. Ho un alveare, e in passato qui pascolavano pecore e capre. Ho imparato a fare il miele e il formaggio. In trent’anni mi sono lanciata in qualunque esperienza agricola. Ora ho rallentato, sono stanca e le finanze cominciano a diminuire. Ma ho imparato tanto». L’Asperger ha avuto anche risvolti positivi? «Chi ha questa sindrome si concentra completamente in ciò che fa e quindi può raggiungere livelli altissimi. Il problema semmai è che non riesce a gestire il resto. Se c’è chi ti aiuta, puoi dare il massimo in qualunque attività, ma se non trovi uno sbocco può diventare una patologia. Io ho avuto la fortuna di poter incanalare la mia energia nella scrittura e di aver trovato persone che mi hanno aiutato». Per questo ha studiato a fondo zoologia, entomologia e botanica? «Ho una biblioteca immensa. Quando mi appassiona una cosa, leggo e studio tutto quello che c’è finché non la posseggo, poi ricomincio con un nuovo argomento. Per la scrittura è perfetto». Cosa l’appassiona degli insetti? «Sono macchine straordinarie con regole così perfette e incrollabili che osservandoli entro in un mondo rassicurante dove non ci sono equivoci possibili. Ho studiato le api, le formiche ma anche le arti marziali, universi ristretti e relazioni sociali dominati da regole chiare. È stata la mia salvezza». Anche l’orto? «Serve moltissima cura e attenzione. Pomodori e cavoli, per esempio, non si amano. È come un’orchestra che va diretta per raggiungere armonia e equilibrio. Intorno alla mia casa ho piantanto alberi, un frutteto, un oliveto, la vigna e adesso c’è una tale giungla che la casa resta in penombra! Querce grandi come matite sono diventate un bosco». Che pianta vorrebbe essere? «Un grande salice ma non piangente, ridente, perché è una pianta vitale, generosa. Sta vicino all’acqua e ha fronde meravigliose». Ha molte affinità con Greta Thunberg: le piacerebbe che vincesse il Nobel per la Pace? «Per il suo equilibrio preferirei di no. La sua dedizione totalizzante è tipica della sindrome: per le persone come noi, la troppa popolarità può rivelarsi deleteria se non si è ben supportati. Le hanno detto cattiverie terribili anche perché è una ragazza. Non sono femminista, ma sono atterrita dal maschilismo becero che si scatena quando una donna non sta nei ranghi». È cintura nera, terzo Dan, del karate Goju Ryu. Insegna ancora? «Dopo Roma, ora insegno a Orvieto, è la mia passione. Mi affascina vedere come cambiano in meglio le persone che praticano. Una volta, nello spogliatoio, sento un’allieva dire: “La maestra assomiglia moltissimo alla Tamaro ma è molto più simpatica!” (ride, ndr). Aveva ragione, il successo è stato un incubo e la relazione con i media terribile perché non capivo la malizia, le domande, cosa era meglio non dire. In tv ero così stressata che mi trasformavo in una maschera di rigidità. Mi sono messa nei guai con le mie mani, ma ero malata e l’ho scoperto solo di recente». Da bambina voleva farsi chiamare Carlo, sognava una carriera militare. «Adesso sembra una rivendicazione di genere, ma in realtà sognavo di entrare in Marina o diventare una Giubba rossa. Visto che non erano attività per bambine la soluzione mi sembrava cambiare sesso». Ha detto: “Tagliarmi le trecce mi sembrò come liberarmi da una zavorra”. Sicura che non fosse una questione di genere? «Farle fuori è stata una conquista: ho sempre odiato i miei capelli biondi e lunghi. Quando colpisce le femmine, l’Asperger dà al cervello un’impronta maschile che toglie l’emotività. Chi ne soffre non metterà mai una gonna né si truccherà e avrà una sobrietà maschile, non mascolina. Da piccola per questa mia diversità ho subíto aggressività e bullismo, ho sofferto molto, ma sapevo di essere una bimba. A 15 anni mi sono innamorata di un giovanotto e sono sempre stata eterosessuale. Ho il 43 di piedi e mani enormi e per il mio aspetto androgino sono stata persino cacciata dai bagni delle donne, c’è qualcosa in me che crea equivoco. Forse oggi, rispetto al passato, si esagera in senso contrario e si interviene troppo presto: i bambini non vanno chiusi nelle nostre visioni ideologiche. C’è una tale frenesia di classificazione e invece ci vorrebbe più libertà. Chissà quante bimbe con l’Asperger non diagnosticato sono spinte a fare trattamenti». Le chiedono spesso se è lesbica... «Continuamente. Se lo fossi sarebbero tutti più contenti. Ma banalmente mi piacciono gli uomini e mi sono sempre piaciuti, amo il ricamo, coltivare i fiori. E poi non si capirebbe da quello che scrivo?» Dorme ancora da sola, in castità? «Ho avuto una vita sentimentale ricca, ma è una fase che è finita.Vivo con tante persone, ma ho la mia camera e nessun coinvolgimento sentimentale e sessuale». Lei ha adottato una famiglia. Come mai? «Ci siamo incontrati per strada, erano giovani, peruviani. Ho visto la loro bambina, ci siamo piaciute subito. Li ho cercati e gli ho proposto di venire a stare da me. Per loro ho costruito una casetta. La bambina nel frattempo è diventata mamma. Abbiamo un nipotino di sette anni. Si può essere soli condividendo una vita affettiva importante». Vive anche con la sua amica, la scrittrice Roberta Mazzoni. «Avevo bisogno di una persona accanto per interpretare meglio la realtà. Da trent’anni ci completiamo a vicenda. Abbiamo una grande amicizia e siamo silenziose». Silenziosa lo è stata a lungo... «Da bambina ero muta e il silenzio una prigione che ho rotto scrivendo. Adesso la prigione è a intermittenza. Nel silenzio raccolgo i miei pensieri per scrivere ed è necessario affinché le parole possano uscire vere e profonde».