La Stampa, 12 luglio 2019
Le spedizioni del Duca degli Abruzzi al Polo Nord
Quarantacinque anni prima della spedizione di Ardito Desio il K2, non a caso detta «la Montagna degli Italiani», era già una vetta mitica, circondata da un alone di irrinunciabile magnetismo per chiunque amasse l’esplorazione. Il più grande protagonista dell’alpinismo di inizio secolo, Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, organizza così, nel 1909, una celebre spedizione sul Karakorum, nella regione himalaiana. Ad accompagnarlo, l’amico alpinista Vittorio Sella, considerato il più grande fotografo di montagna di ogni tempo, nipote di Quintino, fondatore del Club Alpino Italiano. Un sodalizio, quello tra il duca degli Abruzzi e Vittorio Sella, che fece grande l’immagine dell’Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando il concetto di grande esplorazione era appannaggio degli inglesi e il nostro giovane paese necessitava di trovare il suo spazio vitale nel prestigio internazionale.
A centodieci anni da quella celebre spedizione il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, insieme alla Fondazione Sella di Biella, al Museo Nazionale della Montagna di Torino e alla Fondazione CRT, presenta una rassegna fotografica che raccoglie gli affascinanti scatti eseguiti con una tecnologia, per l’epoca, assolutamente all’avanguardia, in alcune delle zone più remote della terra.
L’occasione della mostra, però, non si limita a quella sola spedizione, bensì alle quattro che, a cavallo dei due secoli, in poco più di dieci anni, resero noto in tutto il mondo il nome del duca: nel 1897 la prima ascensione del monte Sant’Elia in Alaska; nel 1899-1900 la spedizione al Polo Nord, che raggiunse la latitudine Nord più avanzata dell’epoca (86° 34’); nel 1906 l’esplorazione del massiccio del Ruwenzori, nel cuore dell’Africa, tra Congo e Uganda; nel 1909 – come si diceva - nel Karakorum.
Sono scatti, alcuni esposti per la prima volta in assoluto, che lasciano letteralmente a bocca aperta. Si tratta di stampe originali alla gelatina e collodi di bromuro d’argento, con meticolosi interventi manuali ad acquerello, guazzo e china. Scatti che ci proiettano, per chi li osserva oggi, a un mondo senza tempo. Quasi impossibile e onirico. Di estrema fantasia per l’italiano medio dell’epoca, che aveva poche occasioni per uscire, in tutta la vita, dalla propria regione. Rimane uno stupore che è solo una parte di quell’impressione che doveva lasciare agli spettatori del tempo. E ai lettori dei suoi libri. Perché il duca degli Abruzzi, al suo ritorno, raccontava e dettagliava in precisi resoconti e diari di viaggio le sue avventure. Libri che hanno fatto la letteratura dell’alpinismo e dell’esplorazione.L’immagine della maestosa nave Stella Polare, decantata da D’Annunzio, Pascoli e Salgari, inclinata e incagliata tra i ghiacci dell’Artide, è l’icona della mostra, così come dell’intero apparato fotografico. I testi del duca sottolineano inquietudini ed ansie. Narrano della straordinarietà in un’epoca nella quale tali spedizioni necessitavano di una meticolosa programmazione e preparazione e i cui rischi rimanevano altissimi. Proprio al Polo si racconta di un gruppo di esploratori che non fanno ritorno. Così come nell’impresa del K2, quella sul celebre «Sperone Abruzzi», ancora oggi considerata la via normale per ascendere la vetta e così denominata in onore del duca. Il suo gruppo di alpinisti, tutte guide valdostane («era necessaria una notevole preparazione fisica e morale, fuori dal comune», scriverà) raggiunge la quota di 6.600 metri (duemila metri sotto la cima). Ammettere l’impossibilità di poter andare oltre, sfidando l’ignoto, è rimasto uno dei grandi miti della sua figura. Le immagini dei ghiacci del Polo, degli scenari himalaiani e dell’Alaska contrastano con quelli, strepitosi, tra le rocce, le foreste pluviali, le popolazioni e le cime del Ruwenzori, le stesse Montagne della Luna descritte già da Tolomeo nel II secolo.