La Stampa, 12 luglio 2019
Intervista a Isabella Ragonese
Il Premio Satira politica di Forte di Marmi esiste dal ’73, quando i politici italiani erano persone più serie e quindi non si satireggiavano già da soli. Da quest’anno, gli fa da prologo un ghiotto Festival della satira assemblato da Beppe Cottafavi: una settimana di varii sfottò che si conclude domani con la serata condotta da Serena Dandini e, appunto, la distribuzione dei premi. Divisi per categorie: quello alla carriera va a Corrado Guzzanti, quello per la tivù alla di lui sorella Sabina e alla rediviva Tivù delle ragazze-Gli Stati generali, per il web ai The Jackal, per la letteratura a Giacomo Papi (in effetti il suo Censimento dei radical chic è devastante, anche se al solito nel frattempo la realtà sta superando la fantasia), eccetera. Sempre per la tivù, the winner is anche Isabella Ragonese, attrice prestata alla pluripremiata Tivù delle ragazze-Gli Stati generali, nei panni della professoressa Isabetta Ragonelli con i suoi tutorial. Come da motivazione, per aver svelato «il mistero dei misteri, l’enigma che neanche il vecchio Morgan aveva mai osato affrontare: la differenza fra corteggiamento e molestia». E in queste epoche di #metoo, non è poco.
Ragonese, ma lei è una serissima attrice di cinema.
«In effetti la partecipazione agli Stati generali è stata un’avventura inaspettata. Merito di Dandini che mi ha convinto. La prima puntata è andata in diretta, non registrata, e mi ha talmente divertito che le ho fatte tutte. Poi si è scoperto che divertiva anche il pubblico, tanto che il mio "Si può fare!" è diventato una specie di tormentone».
Sul web, però: è lì la nuova frontiera della satira?
«Non credo che ci sia contrapposizione fra tivù e rete. Forse è solo un modo per raggiungere pubblici diversi e con modalità di fruizione diverse».
Quindi non le dà fastidio che un suo film venga visto sul cellulare in metropolitana?
«E’ un po’ diverso. Il cinema è qualcosa di più complesso, dove dietro al lavoro di noi attori c’è quello di molte persone molto specializzate. Se passi ore a studiare e realizzare la luce migliore per una scena, è un peccato vederla sul cellulare. Gustarsi lì uno sketch invece è assolutamente normale».
Oggi in Italia è facile o difficile fare satira?
«Credo che stiamo vivendo una fase di transizione. Il mondo è meno leggibile, sempre meno in bianco e nero, quindi forse fare satira è diventato più difficile. Anche per una certa autocensura: non sui contenuti, ma sulle forme. Oggi nessun giovane regista potrebbe presentarsi a un produttore e proporgli un film come La grande abbuffata di Ferreri: lo prenderebbero subito per matto. Di una cosa però sono sicura: la satira non morirà mai. Ridere e sorridere, ironizzare e deformare sono quello che ci rende umani».
La satira sopravviverà anche al politicamente coretto?
«Sì. Ma poi cos’è oggi politicamente corretto? E’ un’espressione che si usa talmente tanto da avere sempre meno significato. Non penso che scorretto voglia dire offensivo. La satira non deve avere regole. Ma la libertà di chi la fa deve rispettare la libertà degli altri».
Chi sono le tre persone che la fanno più ridere?
«Mio padre e mia madre, che hanno un senso dell’ironia diversissimo ma complementare. E Sabina Guzzanti. O Cinzia Leone».
Così sono quattro. E nella commedia del nostro glorioso passato?
«C’è solo l’imbarazzo della scelta. Diciamo Monica Vitti. Però io non sono un a che al cinema ride a crepapelle. A parte quando rivedo i primi film di Woody Allen, anche se li so a memoria. Amore e guerra, Il dormiglione, Prendi i soldi e scappa. Mi viene da ridere solo a citarli».