Corriere della Sera, 12 luglio 2019
Milano sarà calda come Dallas
Fra trent’anni cammineremo su marciapiedi infuocati. L’asfalto di Corso Sempione a Milano o Piazza Castello a Torino in estate sarà incandescente quanto oggi le strade di Dallas, città del profondo Sud americano, dove si circola solo in auto con l’aria condizionata ai massimi. Il clima sarà subtropicale, caldo e umido. A Città del Vaticano, e nella circostante urbe romana, il termometro salirà anche di più ma la brezza marina allevierà la calura, proprio come avviene ora ad Adana, nella Turchia meridionale. È il verdetto di uno studio pubblicato su Plos One che analizza quali impatti avrà la crisi climatica su 520 città del mondo da qui al 2050, creando paralleli allarmanti. Londra somiglierà meteorologicamente all’attuale Barcellona, Monaco di Baviera a Milano, Stoccolma a Budapest, Seattle a San Francisco, Madrid a Marrakech ed Edinburgo a Parigi.
Oltre tre quarti delle principali città del pianeta subiranno cambiamenti «sorprendenti» per temperatura e piovosità, avvertono i ricercatori dell’Università ETH di Zurigo. Ancor più grave, il 22 per cento delle metropoli, tra cui Singapore e Giakarta, soffriranno condizioni climatiche estreme, mai sperimentate prima al mondo. E tutto questo, avverte il professor Tom Crowther, in base a modelli di previsione che considerano un riscaldamento terrestre «moderato». Ovvero che le emissioni di CO2 si stabilizzino entro la metà del secolo.
Il trend vede uno spostamento delle città nell’emisfero settentrionale verso condizioni climatiche che oggi si trovano circa 1.000 chilometri più a sud, direzione Equatore. Con effetti incalcolabili su salute pubblica e infrastrutture. Nelle città europee le temperature aumenteranno in media di 3,5° C gradi d’estate e 4,7 in inverno. A Milano è prevista un’impennata fino a 7,2° nel mese più caldo, con una media annua di + 2,5°.
Bisogna prepararsi all’impatto, avvertono gli scienziati. «Le ondate di calore in Europa stanno dimostrando quanto sia già forte la tendenza al riscaldamento – dice il professor Friederike Otto dell’Università di Oxford —. Dobbiamo adattarci, avvertire le persone e attuare piani d’azione a livello globale». Intanto, in attesa del vertice sul clima di settembre a New York, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu si prepara a pubblicare un altro rapporto speciale su degrado del territorio e rischi per la sicurezza alimentare.
Alla fine, forse finiremo tutti in Siberia. Scherzi a parte, uno studio russo-americano tra il Langley Research Center (Nasa) e il Krasnoyarsk Institute prevede che nel 2080 vaste zone artiche della Russia offriranno condizioni ambientali favorevoli alla presenza dell’uomo. La meta perfetta per masse di migranti in cerca di nuove terre da coltivare e in fuga dal caldo del Sud Europa.