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 2019  luglio 12 Venerdì calendario

La guerra della sabbia

Quando in spiaggia sbuffate scuotendo via per l’ennesima volta la sabbia dall’asciugamano, fermatevi a pensare. Avete tra i piedi una delle risorse più importanti della nostra civiltà. Su quei granellini si fondano le nostre città, le nostre case, i ponti, le finestre, le creme che ci spalmiamo sulla faccia, gli schermi dei telefonini, perfino l’elastico delle mutande. La sabbia è la risorsa naturale più usata dopo l’aria e l’acqua. E per questa risorsa si uccide e si rischiano guerre. Bande criminali si arricchiscono scavandola via dai letti dei fiumi, Paesi la spostano da un angolo all’altro del pianeta ridisegnando le carte geografiche.
Ogni anno vengono usati nel mondo, soprattutto per fare cemento, 50 miliardi di tonnellate di sabbia e ghiaia, il volume più rilevante di materiali solidi presi dalla terra. E l’aumento delle attività estrattive è esponenziale. Nel 1950 solo 750 milioni di persone vivevano in città, ora sono 4,7 miliardi, con conseguente incremento edilizio. Il boom dell’Asia è tra le principali ragioni dell’aumento della richiesta di sabbia nel mondo. La Cina ha impiegato negli ultimi quattro anni più cemento di quanto ne abbiano utilizzato gli Stati Uniti nel XX secolo.
Che problema c’è, direte, prendiamo la sabbia dai deserti. No, impossibile: la forma dei granelli è troppo arrotondata e non funziona bene per produrre il cemento. Quella del mare viene usata, ma va prima depurata dal sale che altrimenti divorerebbe ciò che viene costruito. La sabbia migliore è quella dei fiumi e dei laghi. Il problema è che la stiamo usando al ritmo doppio rispetto a quello geologico con cui si forma. Le nostre capacità tecniche di estrazione sono diventate fenomenali. Alcune navi dragatrici cinesi messe in piedi sarebbero alte come palazzi di 60 piani. Scavano, cambiano il corso dei fiumi, alterano gli equilibri di delicatissimi ecosistemi. Estrarre la sabbia intorbidisce le acque (i granelli troppo fini vengono rilasciati della navi dragatrici), ne altera il Ph, stravolge il paesaggio. E può addirittura cambiare le dimensioni di un Paese: in Indonesia proprio a causa dell’estrazione di sabbia diretta verso Cina, Thailandia, Hong Kong e Singapore dal 2005 sono sparite almeno 24 piccole isole. Giacarta nel 2007 ha proibito l’esportazione di sabbia, ma le mafie hanno continuato a fare il proprio lavoro. Così come lo fanno in India.
Vince Beiser (premio Pulitzer che alla sabbia ha dedicato il libro The World in a Grain, il mondo in un granello di sabbia) ha raccolto le testimonianze degli attivisti che cercano difendere i fiumi: intimiditi, picchiati, uccisi dai predatori di sabbia, spesso con l’omertosa protezione delle autorità.
La sabbia è una questione di Stato. Proprio in questi giorni è stato annunciato lo stop alle esportazioni di sabbia dalla Malaysia verso Singapore. Un colpo alle ambizioni territoriali della città Stato che negli ultimi 40 anni ha aumentato del 20% il proprio territorio proprio importando sabbia e ghiaia (517 milioni di tonnellate in 20 anni) e “reclamando” così terra dal mare.
Con l’inizio delle regolamentazioni internazionali il valore di mercato della sabbia è aumentato. Scrive Pascal Peduzzi in un report per l’Università di Ginevra: il prezzo medio di una tonnellata di sabbia importata da Singapore tra il 1995 e il 2001 era di 3 dollari. Tra il 2003 e il 2005 è lievitato a 190 dollari.
Man mano che i luoghi di approvvigionamento si restringono, il danno ambientale del cemento sale anche perché aumentano i chilometri che i carichi di sabbia e ghiaia devono percorrere: il 5% delle emissioni di gas serra nel mondo sono dovute alla produzione di cemento.
La caccia alle fonti di sabbia è aperta. Paradossalmente una si sta schiudendo proprio grazie al riscaldamento globale. Un team statunitense sta studiando lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia. L’idea è capire se questa possa diventare un nuovo luogo di estrazione su vasta scala dei preziosi granellini che alimentano la nostra civiltà. Le autorità locali sono interessate. Attualmente le esportazioni dell’isola sono costituite al 90% da prodotti ittici e metà del bilancio è nutrito dai sussidi erogati dalla Danimarca, da cui la Groenlandia ambirebbe a divorziare. Un fiorente commercio di sabbia potrebbe dare un contributo alle ambizioni indipendentiste. Ma a che prezzo? Le attività estrattive potrebbero cambiare il volto della zona.
Da qualche anno le Nazioni Unite fanno pressioni per una governance a livello globale sul mercato della sabbia che è opaco quasi ovunque. L’Onu auspica poi che venga cambiata la formazione di ingegneri e architetti e si cerchino strade alternative al cemento. Come per l’acqua, però, la strada maestra è consumare meno e rispettare le risorse. Anche la sabbia. Fateci un pensierino quando scuotete l’asciugamano.