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 2019  luglio 12 Venerdì calendario

Il sindaco che manda in ferie la Severino

Il segretario generale al sindaco: “La informo che il ministero dell’Interno, ritenendola incandidabile, la giudica decaduta dall’ufficio a cui è stato appena eletto”. Il sindaco: “Lei da ora si consideri in ferie”. Il segretario: “Guardi che non può nemmeno nominare la giunta giacché tutti i suoi atti saranno nulli”. Il sindaco: “Il consiglio comunale si tiene regolarmente e nomino la giunta”. Il segretario comunale: “Io metto a verbale che si sta violando la legge”. Il sindaco: “Lei, essendo in ferie, non può verbalizzare alcunché. C’è chi la sostituirà”. Comandante dei carabinieri: “Segretario, per motivi di ordine pubblico la consiglio di allontanarsi”.
Come in un film. Si registra a Pagani, 36 mila abitanti a nord di Salerno. Città difficile, insediata dalla camorra, assediata dal cemento che tombina quello che una volta era l’Agro nocerino. La sintesi del confronto che avete appena letto è chiusa in un plico di corrispondenze che tra il 9 giugno e il 30 giugno intercorrono tra la prefettura, il ministero dell’Interno e il municipio della città sulla figura e la capacità di Alberico Gambino, per la terza volta sindaco, di indossare la fascia tricolore. La legge Severino è tassativa: colui che è stato coinvolto nello scioglimento del consiglio per infiltrazioni mafiose, anche se non penalmente responsabile, salta un giro, perdendo, nella consultazione successiva, l’elettorato passivo. Il ministero formalizza la decadenza, la prefettura trasmette, il segretario notifica e il decaduto?
Fa orecchie da mercante. Avanza indisturbato e procede alla rimozione degli ostacoli. Letteralmente toglie dalla sedia il segretario Francesco Carbutti, che annota: “La mia postazione veniva occupata da una persona che portava seco un cane nero di grossa taglia dal pelo lungo”. È la nuova segretaria comunale che, in un incredibile e fulmineo processo sostitutivo, giunge a Pagani il giorno 30 giugno, proprio per redigere il verbale di consiglio che il suo collega aveva definito contra legem. La burocrazia, quando vuole, fa faville. E infatti due giorni prima, il 28 giugno il sindaco con una nota mette in ferie forzate il segretario recalcitrante notificandogli 17 giorni non goduti e la conseguente istantanea rimozione: alle 13.30 di quel giorno egli deve già considerarsi in vacanza, allontanandosi istantaneamente dall’ufficio. Alle 15.30 l’agenzia dei segretari emette il decreto di sostituzione e chiama la dottoressa Perongini, che due giorni dopo si farà scortare nell’aula consiliare (per la seduta inaugurale si è scelto il cinema della città), da un cane “di grossa taglia dal pelo lungo”.
Il sindaco, eletto ma decadente o addirittura già decaduto, è noto per i fatti e anche i misfatti di una carriera politica dai tratti volutamente pirotecnici. Gambino fa il sindaco per la prima volta nel 2002, poi nel 2007 è rieletto con la percentuale nazionale più alta in assoluto: 78 per cento. Gambino è il politico che piace a Pagani: corre, cura, parla, corregge. È sempre in piazza e con la piazza fila d’amore. Delle regole ha una percezione più affievolita, ritenendo che il fare possa giustificare più che uno strappo. “Il popolo mi vuole bene, io sorrido sempre”, dice. Il sorriso scompare nel 2009 quando subisce una condanna per peculato. È accusato di aver indebitamente alleggerito la carta di credito comunale. È anche consigliere regionale della Campania, e la condanna gli costa la sospensione dalla carica. Uscirà assolto, ma prima che si pronunci la Corte d’appello, la Dia fa irruzione nel suo domicilio e lo arresta. La Procura gli contesta voto di scambio politico-mafioso. Tra cella e domiciliari si farà 21 mesi di carcere preventivo. “Un dolore fortissimo, una sciagura immane che ho superato con l’aiuto e l’amore della famiglia”, commenta.
Le vicende giudiziarie si susseguono quasi di pari passo con i successi politici. In gabbia o no, Gambino è sempre sugli scudi. Intanto il consiglio comunale è sciolto ma Gambino, che sarà pienamente assolto anche dalle accuse più pesanti, veleggia in Regione dove nel 2015 risiede, voluto dal popolo, nel consiglio. Nel 2018 tenta l’avventura in Parlamento, ma non gli riesce il salto. Allora vira di nuovo su Pagani, la sua città che è la sua culla. Oggi è in Fratelli d’Italia. Ha dato molto e tolto parecchio. Le sua aziende partecipate sono fallite, i conti li ha posti in disordine. Ma la cura della clientela e una indubitabile empatia con gli elettori, lo rimettono in sella.
Nemmeno il tempo di brindare che gli ricordano che la Cassazione ha confermato la sua incandidabilità. Poi lo spettacolo pirotecnico del consiglio comunale neoeletto e forse già morto. “Ma io non ci credo”, dice tra gli applausi. Mette a verbale il diverso parere, nominando la giunta e, chissà domani, portando Pagani verso l’autonomia dalla Repubblica e dalle sue leggi.