Libero, 12 luglio 2019
Al Sud non si vendono biglietti
Fa male dirlo, da uomo del Sud innamorato della propria terra, ma il Meridione continua a vivere in uno stato di profonda depressione culturale. A confermarlo non sono solo i dati delle prove Invalsi per cui, se in tutta Italia uno studente su tre legge ma non capisce, in regioni come la Calabria la media sale a uno su due. Ora ci pensano i dati dell’ultimo annuario dello Spettacolo Siae, relativi al 2018, a fotografare una situazione in cui il Sud si nutre poco di Cultura anche fuori dai circuiti scolastici. Per quanto riguarda cinema, teatro, concerti, mostre e sport, a Sud si vendono molti meno biglietti, si spende meno al botteghino e circolano meno soldi in termini di spese accessorie (dai servizi di ristorazione al guardaroba). In particolare gli ingressi nei poli di cultura ed evasione sono crollati del 6,65% rispetto al 2017, mentre la spesa al botteghino è diminuita del 5,06% e la spesa del pubblico (cioè per tutti i servizi accessori) si è contratta del 2,68%.
ENORME DIFFERENZA
E questo mentre il Nord va nella direzione opposta: qua la spesa al botteghino è aumentata del 5,21% e quella del pubblico dell’8,35%. A maggior ragione colpisce vedere la classifica delle città metropolitane dove si spende di più per cultura e spettacoli. Le prime 5 sono tutte del Centro-Nord, nessuna è del Sud. Milano vanta la palma di capitale culturale d’Italia con 403 milioni di euro spesi al botteghino (60 più di Roma) e 756 milioni di spesa del pubblico (340 più di Roma). A seguire ci sono appunto la Capitale, e poi Torino, Firenze e Bologna. Facile intuire la correlazione tra le scarse prestazioni a scuola e la bassa fruizione culturale fuori. L’apprendimento della lingua, il senso critico e le abilità cognitive crescono se ci sono stimoli dall’esterno, se si frequentano poli dove ampliare i propri orizzonti. Ma questo vale anche all’inverso: chi non sviluppa una capacità di apprendimento sui banchi sarà meno stimolato poi, una volta suonata la campanella, a dedicarsi ad attività culturali. In questa situazione pesa indubbiamente il ritardo economico del Sud. È evidente che, se si hanno meno soldi, si spende meno in attività e beni non di prima necessità come quelli culturali. Solo chi già mangia può dedicarsi alla cultura. Allo stesso tempo però bisognerebbe avere l’intelligenza di comprendere che con la cultura si può e si deve mangiare. Da questo punto di vista è significativo un dato: nel Sud e nelle isole, durante il 2018, il numero di eventi e spettacoli è aumentato dell’1,28% rispetto al 2017. Ma, come abbiamo visto, a questa crescita non è corrisposto un aumento del giro economico relativo.
RICERCA DI VOTI
Il che vuol dire che molte iniziative staccano pochi biglietti e restano residuali o poco pubblicizzate. Ma significa anche che tanti appuntamenti sono gratuiti, si trasformano in grandi feste patronali dove non si paga l’accesso, venendo concepiti come una sorta di circenses che le amministrazioni pubbliche, in mancanza del panem, imboniscono per guadagnarsi il consenso dei cittadini; manifestazioni magari di alto livello che tuttavia non fruttano soldi, semmai voti. E a ciò si somma un cronico ritardo nell’imprenditoria culturale, tale che perfino un evento come Matera Capitale della Cultura ha determinato un aumento esponenziale di B&B e strutture ricettive ma non di librerie. Se non cambierà questa mentalità, il Sud non riuscirà mai a colmare questo gap culturale e a uscire dalla sua Sudditanza. Né basteranno redditi di cittadinanza o bonus cultura per salvarlo.