il Fatto Quotidiano, 11 luglio 2019
Intervista a Marco Rossi Doria
Marco Rossi Doria è nato a Napoli.
“È il risultato di un disastro costruito nel tempo”. Marco Rossi Doria, maestro di strada, esperto di politiche educative e sociali, già sottosegretario all’Istruzione dal 2011 al 2014, non è stupito dei numeri devastanti usciti ieri.
I dati Invalsi mostrano un divario netto tra il Nord e il Sud. A cosa è dovuto?
Purtroppo confermano tendenze già note. Si tratta di disuguaglianze precoci, a inizio della vita. Il fatto che i figli dei poveri non abbiano speranza di emanciparsi attraverso lo studio è terribile. Lo segnaliamo da tempo, ma la politica non ascolta. Abbiamo intere generazioni, intere aree del Paese che non raggiungono le competenze necessarie per poter esercitare la cittadinanza, accedere a un mercato legale del lavoro e uscire dalla povertà ereditata dai genitori. Una società così non è democratica.
Le prove invalsi sono contestate dai docenti. Secondo lei sono attendibili?
Sono utilissime, perché con una metodologia di carattere internazionale ci danno non solo una fotografia attuale e l’andamento del Paese. Se non ci fossero, ognuno potrebbe dire la sua. Certo, si possono fare critiche su come vengono somministrate le prove. Infatti alcune di queste sono servite per migliorare le prove stesse. Resta il fatto che, su numeri così grandi, le prove ci consegnano un’evidenza approvata dalla comunità scientifica.
Cosa si può fare per ridurre le disuguaglianze?
C’è già stata una cabina di regia contro la dispersione scolastica, che ha detto cosa fare. Bisogna “dare di più a chi parte con meno”, come diceva don Milani. Questo vale per il Sud ma anche per il Nord, perché il divario riguarda tutte le zone povere. Occorre intervenire in età molto precoce con gli asili nido, sostenere le famiglie più deboli, fare delle alleanze educative tra i servizi pubblici territoriali, finanziate e controllate, che abbiano almeno dieci anni di tempo per lavorare, istituire il tempo pieno nella scuola primaria e nella scuola media nei quartieri difficili e migliorare la formazione professionale soprattutto nel Mezzogiorno.
Cosa ne impedisce la realizzazione?
Il problema è politico, nel senso etimologico del termine. Una società che esclude i poveri dalla possibilità di conoscere immiserisce il paese. Il giorno dopo la pubblicazione di dati così preoccupanti, tutti fanno delle belle dichiarazioni. Ma sono gli insegnanti, gli operatori sociali e i parroci di periferia che lavorano senza alcun tipo di sostegno. L’azione al Sud è stata indebolita in due modi: con la lunga stagione del centrodestra, quando la Lega ha preteso di drenare fondi dal Sud verso il Nord, durante i governi Berlusconi, e con l’incompetenza delle politiche educative e sociali dei governi regionali, compresi quelli di centrosinistra, che hanno dilapidato i finanziamenti. Non dimentichiamo che Tremonti e la Gelmini hanno fatto tagli lineari per 7,8 miliardi all’istruzione pubblica, che non sono mai stati recuperati pienamente. È tutto il Parlamento che deve fare per una volta un’azione che vada al di là degli schieramenti.
Il ministro dell’Istruzione è favorevole alla regionalizzazione delle scuole, che peraltro Veneto e Lombardia chiedono con l’autonomia.
Se questo governo si macchia di un regionalismo iniquo, vuol dire che di fronte a questa macroscopica diversità esistente vuole immiserire ulteriormente i bambini e i ragazzi del Sud. La ricaduta sarà devastante perché i Comuni non avranno il minimo per fare gli asili e le scuole materne. Gli enti locali non avranno i fondi per tenere aperte le scuole. Il sostegno ai genitori nei quartieri difficili mancherà del tutto. I dati sono destinati a peggiorare, perché si vogliono drenare ancora risorse verso il Nord: sarà un disastro.