ItaliaOggi, 11 luglio 2019
Possagno ricorda i 200 anni della chiesa-tomba di Canova
Comincia oggi a Possagno il Festival Canova, organizzato dal sindaco Valerio Favero, del direttore del museo canoviano Mario Guderzo e da quell’organizzatore incallito che è Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Canova. Una serie di eventi che durerà, con ritmo incalzante, sino a domenica 14: visite guidate, video delle opere, film e conferenze, concerti musicali, cena canoviana, Santa Messa presieduta dal card. e segretario di Stato Pietro Parolin.Ma quale centenario viene celebrato? Quello della tomba del grande Scultore. Nato nel 1752 e morto nel 1822, duecento anni or sono fu lui a porre la prima pietra del Tempio celebrativo che adorna (qualcuno dice disturba) il suo paese natale. Era l’11 luglio 1819. Possagno aveva una chiesa malandata e Canova pensò di costruirne, tutta a sue spese, una nuova, dedicata alla Santissima Trinità, che ospitasse anche le sue spoglie.
Fu finita solo nel 1830, lui non c’era più, ma ne aveva definito il progetto. Questo tempio greco-romano emerge sopra il paese, a 342 metri di altezza ai piedi della pedemontana del Grappa. Un edificio costruito secondo una indiscutibile precisione storica e architettonica, che non è riuscita a nascondere una certa freddezza, artificiosità e anche trionfalismo.
È formato di tre corpi distinti, esemplare ciascuno delle tre architetture europee, greca, romana e cristiana: è racchiuso da otto colonne doriche con architrave adornato da metope dei suoi allievi; il corpo centrale rotondo con cupole richiama il Pantheon romano; mentre l’abside con l’altare maggiore lo mostra come chiesa cristiana. All’interno sculture e pitture, anche del Canova. A sinistra troviamo la tomba dello scultore e di un suo fratellastro vescovo.
I suoi resti mortali erano troppo importanti per non dividerli. Quasi tutti sono arrivati a Possagno da Venezia, dove morì. Ma due parti furono trattenute dai veneti: la mano e il cuore, l’intelligenza e la passione. Roberto Longhi, che non amava lo scultore, ci ironizzò sopra: «Canova fu un artista nato morto, il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia, e il resto non so dove» (Cinque secoli di pittura veneziana, 1946).
Possagno ha fatto bene a non lasciar passare senza un ricordo una data così importante. Per Canova la sua città natale ha fatto tanto. Quando morì a Roma tutti i suoi gessi furono portati nella sua casa, che ora è il museo Canova: soprattutto una gipsoteca, ma anche dipinti, tempere, incisioni, disegni. Purtroppo un luogo, ancorché suggestivo e ben curato, che non è certo adeguato alla fama del grande scultore e ai forti flussi turistici. Occorreva costruire un edificio ampio, moderno e funzionale, per evitare che i gessi fossero, più che mostrati, accatastati. Speriamo che verrà fatto presto.
Canova fu forse lo scultore italiano più ammirato e apprezzato nell’epoca romantica. E ancor più richiesto dai committenti, che se lo contendevano e lo compensavano come dovuto: papi, imperatori, nobili, industriali, borghesi. Nei venti anni delle guerre napoleoniche, egli non rifiutò nessuno, perché l’arte è altra cosa dalla politica. Il papa e Napoleone gli dettero titoli e riconoscimenti.
La generazione del romanticismo lo idolatrava, lo chiamava «il novello Fidia» e si esaltava di fronte alla sua «magnifica delicatezza sentimentale». Qualcuno diceva che Thornwaldsen era molto meglio, ma la fama del veneto era indiscussa. E tale è rimasta, nei secoli. Mentre i critici del Novecento lo hanno contestato duramente.
Fu dichiarato freddo e indifferente, senza alcun bisogno di chiamare in campo la sua probabile omosessualità. Le sue coppie di innamorati erano troppo olimpiche e distaccate, non si afferravano mai col corpo, scherzavano con una ghirlanda o con una farfalla, ma non si desideravano mai reciprocamente.
Cesare Brandi fu un po’ crudele: «La mimica di Canova è atroce, non crea, imita. La sua scultura traduce il marmo in cemento, è opaca, non va oltre la superficie. È il più nobile e coscienzioso dei surrogati» (Periplo della scultura moderna, 1949). Come, peraltro, Matteo Marangoni: «Il Canova ha dissanguato e raggelato la carnalità cinquecentesca» (Saper vedere, 1933).
Dunque ci vedono una sorta di imitatore in salsa veneziana. Ma la sua fama continua potente e diffusa fra le masse. Lo mostra il numero di Topolino a lui dedicato, del 24 aprile 2019, la cui copertina è divenuta una ricercatissima figurina Panini. In crisi di ispirazione, nel 1787 Canova va al Museo archeologico di Napoli (dove in quel periodo c’era proprio una mostra dello Scultore) e vi ammira i capolavori di Pompei ed Ercolano. E l’ispirazione ritorna.