Corriere della Sera, 11 luglio 2019
Il «marzullismo» nella Rai del cambiamento
A proposito dei misteri e della fine della Prima Repubblica, nella prossima stagione televisiva Gigi Marzullo condurrà ben cinque programmi. Quello solito, dove fa le domande sconsiderate, quello sui libri, quello sul cinema, quello sulla musica e infine quello sul teatro.
Ancora una volta, l’estremismo della mediocrità ha vinto: l’ospite fisso di Fabio Fazio, il pupillo di Ciriaco De Mita ha imposto il suo credo. Qui non si parla della persona (per giudicarla dovremmo partire dalla monomaniacale camicia che indossa, e non è nostro compito), ma della filosofia che sta dietro la persona, il marzullismo. Negli anni, abbiamo constatato come Marzullo si sia costruito la sua ferale nicchia, come un ragno che tesse trame di insensatezza. Le prede soccombono con la medesima voluttà con cui l’insetto cerca il vischio dolciastro della carta moschicida. Siano esse premi Nobel o shampiste, vi si impigliano con ipnotica goffaggine, non guardano in faccia nessuno, se non Marzullo, pur di apparire in tv.
La Rai del cambiamento e cinque programmi appaltati dal direttore del Tg1 a Gigi Marzullo! Evviva. È bene ripeterlo: il marzullismo si diffonde come la gramigna, si posa sulle bocche di noti intrattenitori e sulle labbra di affascinanti salottiere, non disdegna la penna di sociologi e opinionisti, concerta giochi con politici e scrittori; il marzullismo è il mulino bianco della riflessione, l’ultima preghiera prima del sonno della ragione. È sovranista, nel senso che viviamo in un mondo dove la somma delle nostre marzullità è maggioranza. È populista, nel senso che sottostimiamo sempre il numero dei marzullidi.
Tuttavia, come sostengono Fruttero & Lucentini, a proposito di una variante del marzullismo, e come insegna il nuovo palinsesto, dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni.