la Repubblica, 11 luglio 2019
Gli animali si stanno restringendo
Il mondo sarà dei più piccoli. Perché più piccoli significa più capaci di sfuggire alle grinfie e ai danni del vero feroce predatore terrestre: l’uomo. Lo sostengono alcuni ricercatori inglesi sulla rivista Nature Communications: dall’analisi di 15.484 specie viventi di mammiferi e uccelli, hanno calcolato che il volume medio del corpo degli animali della Terra nel corso del prossimo secolo potrebbe ridursi di circa un quarto. Per colpa nostra. La grande estinzione in corso, cioè, potrebbe portare a un pianeta popolato da animaletti.
In realtà il quadro è più complesso. Stiamo sterminando le altre specie animali da circa 125.000 anni, in ogni angolo del pianeta. Evidentemente fa parte della nostra natura. Ma di recente le cose sono peggiorate: è la cosiddetta sesta estinzione di massa, accelerata in maniera drammatica dagli anni Settanta a oggi con un calo delle popolazioni animali non umane del 60% in meno di 50 anni. Il fenomeno non accenna a rallentare e nel corso del prossimo secolo potrebbero scomparire più di mille specie di grossi animali: rinoceronti, aquile, tigri. Questo ( se serve ricordarlo) non è solo un danno estetico o un problema morale per noi uomini di cuore: è un problema per la tenuta di interi ecosistemi dai quali dipende anche la nostra vita. Ed è una delle ragioni per cui i geologi stanno cominciando a parlare di Antropocene: la nuova era geologica, adesso in corso, in cui a modificare ecosistemi e clima della Terra sono soprattutto le attività umane. A soffrirne più di tutti, i nostri coinquilini di grandi dimensioni e non solo per via della caccia grossa (che continua a essere una delle principali ragioni del loro declino) ma anche per una loro maggiore vulnerabilità.
Grande, grosso e fragile, insomma. I ricercatori inglesi lo hanno quantificato prendendo la lista rossa delle specie minacciate compilata dalla Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN, International Union for Conservation of Nature) e analizzando la massa corporea degli individui di una specie, la dieta, la velocità della riproduzione, l’estensione dell’habitat. Il risultato è un evidente vantaggio degli animali piccoli, fertili e adattabili. “Stiamo ristrutturando la vita sul pianeta”, ha commentato il primo autore Robert Cooke. Ed è in linea con altri scienziati, come gli americani che un anno fa hanno pubblicato su Science una stima del rimpicciolimento medio delle specie animali nei 125.000 anni passati: 14%. Oggi gli inglesi fanno una previsione per il futuro e aggiungono un altro 25%.
Ma quanto contano davvero le dimensioni in questa storia? «L’analisi in sé è precisa, e racconta una parte drammatica della questione – commenta Maurizio Casiraghi, professore di zoologia all’università di Milano- Bicocca – ma manca un pezzo altrettanto importante». E cioè che se si estingue la giraffa o se a soffrire è l’orso, noi esseri umani siamo molto impressionati, talvolta persino toccati. «Però dimentichiamo che la maggior parte della biodiversità terrestre è costituita dagli animali più piccoli». Le specie di insetti sulla Terra, per dire, sono nell’ordine dei milioni, e difficilmente vengono considerate in questi studi. «Nella logica dell’intero mondo animale un trend preciso è difficile da individuare. Non solo: la maggior parte della biodiversità terrestre in realtà è dei batteri, e in generale delle forme di vita fatte di una o poche cellule, molto più resistenti di qualsiasi animale. Se dovessi scommettere su chi sopravvivrà più a lungo sulla Terra punterei su di loro».
La questione si complica ancora se analizzata in una prospettiva più di lungo termine. Perché fino a sessantacinque milioni di anni fa il mondo era popolato da erbivori giganti: il più gigante di tutti, il Patagotitan, sfiorava i 40 metri di lunghezza. Poi l’estinzione di massa del Cretaceo ha fatto piazza pulita di lui e di tutta la megafauna che siamo abituati a chiamare “dinosauri”; anche in quel caso ad avere la meglio sono stati soprattutto i più piccoli. Questo rimpicciolimento del mondo animale sembra seguire a ogni estinzione, e potrebbe essere ricorrente nella storia della vita sulla Terra. I biologi lo chiamano “effetto Lilliput”, anche se non lo danno per certo.
Ma nel caso dell’estinzione dei dinosauri, da quei piccoli roditori rimasti soli sul pianeta poi sono discesi i mammiferi piccoli e grandi che conosciamo oggi: l’essere umano, il coniglietto, la balena. Come dire: avendo spazio, anche noi discendenti dei topi siamo cresciuti. «Nel caso dell’estinzione in corso – prosegue Casiraghi – forse si deve considerare che il responsabile, cioè l’uomo, continua a insistere. Perciò i suoi effetti sulle altre specie potrebbero essere più duraturi e gli animali potrebbero restare piccoli più a lungo». Ma il punto è che non lo sappiamo. «Il grande biologo evolutivo Stephen Jay Gould diceva che se tornassimo indietro nel film della vita, e poi lo lasciassimo ripartire, non vedremmo mai la stessa storia. Qui è come se stessimo riavvolgendo il nastro, perché di nuovo la megafauna sta scomparendo. E probabilmente, come è già successo, i piccoli si prenderanno la Terra e la vita ripartirà da loro. Ma la probabilità che, andando ancora avanti, tornino di nuovo la balena e l’elefante è bassissima e il mondo non sarà mai più come prima. Come sarà, non possiamo davvero prevederlo».