la Repubblica, 11 luglio 2019
Alitalia, per gli italiani il conto salirà a 9 miliardi
I contribuenti italiani si preparano a pagare un altro miliardo per il salvataggio di Alitalia aggiornando a 9 miliardi il totale dei soldi pubblici bruciati dall’ex-compagnia di bandiera, che tornerà pubblica grazie alla “rinazionalizzazione” gialloverde.L’impasse di queste ore e la corsa affannosa per trovare una soluzione in zona Cesarini sono la fotografia di un “papocchio” che ha messo in allarme sindacati e – pare – anche il Tesoro. L’unica certezza sul tavolo è che lo Stato ci metterà altri quattrini. Qualche centinaio di milioni le Fs, il resto il Tesoro che convertirà in capitale quel che resta dei 900 milioni di prestito ponte garantiti ad Alitalia per tenerla in volo. Delta – malgrado le pressioni per convincerla ad alzare la posta – non dovrebbe spendere più di 100-150 milioni. Un sacrificio necessario, pensano in America, per evitare che Lufthansa rubi il mercato italiano ai partner di Air France, l’aerolinea transalpina di cui controllano il 10%.
La caccia al quarto partner per completare la cordata ha partorito finora un topolino: Claudio Lotito non ha spiegato dove avrebbe trovato i soldi ed è fuori da subito. La famiglia Toto – che attende l’ok dell’esecutivo al piano finanziario delle sue autostrade – è pronta a mettere i 215 milioni incassati vendendo campi eolici negli Usa. Ma il progetto industriale presentato dagli ex-padroni di Air One a Luigi Di Maio (favorevolmente colpito, pare) non piace a Delta. Il boliviano German Efromovich ha garantito 3-400 milioni di fondi personali custoditi in parte in paradisi fiscali. Soldi che non ha ritenuto necessario utilizzare negli ultimi due mesi in cui ha fatto fallire due vettori (Avianca Brasil e AviancaArgentina) di cui aveva il controllo.
Il problema a questo punto è serio. Tempo da perdere non ce n’è. È vero – come dice l’ex commissario Luigi Gubitosi – che Alitalia «sembrava morta e ora è la più puntuale in Europa». È vero che nei primi sei mesi del 2019 sono cresciuti passeggeri (+2,2%) e ricavi (+4,4%). Il risultato però non cambia: la società funziona meglio ma perde ancora quasi un milione al giorno. E se non si trova un compratore in tempi stretti – l’iter di vendita dura diversi mesi – rischia di bruciare entro fine anno la liquidità che ha in cassa.
Questo quadro complicatissimo potrebbe costringere Di Maio a mandare giù il rospo: il ritorno della vittima (solo in Alitalia poteva succedere una cosa del genere) sul luogo del delitto. Il salvatore in zona Cesarini potrebbe essere infatti Atlantia – ««azienda decotta» per il vicepremier – pronta a entrare per la terza volta nel capitale pur avendo già perso i 200 milioni investiti all’epoca dei capitani coraggiosi prima e con Etihad poi. Masochismo? No, calcolo. Di Maio vuol revocare le concessioni autostradali ai Benetton per la tragedia del Ponte Morandi, Danilo Toninelli vuole indietro 800 milioni di extraprofitti – dice lui – di Fiumicino, altra controllata di Ponzano Veneto. E magari – «a pensar male si fa peccato ma si azzecca», diceva Giulio Andreotti – cavare le castagne dal fuoco a Di Maio su Alitalia potrebbe aiutare ad ammorbidire i rapporti con i pentastellati.
In questo clima di “do ut des” generalizzato con la compagnia come merce di scambio, manca all’appello un altro particolare fondamentale: un piano industriale condiviso tra tutti i futuri soci. Non si capisce chi comanderà, come si farà a portare in utile la società senza esuberi – come garantisce Di Maio – c’è il rischio del “no” della Ue alla nazionalizzazione. Risultato: il futuro di Alitalia – a cinque giorni dal termine per le offerte – è ancora avvolto nella nebbia.