il Fatto Quotidiano, 11 luglio 2019
Tutti gli uomini di Lou von Salomé
Tre uomini, per lei, tentarono il suicidio: due ci morirono; il terzo no, e diventò suo marito. Lou von Salomé fu la più edotta sciupauomini del XIX secolo, famelica allumeuse di artisti e intellettuali, regina delle gattemorte nella scintillante Mitteleuropa.
Precocissima, fulminante fu la sua carriera di seduttrice seriale: nata nel 1861 sotto il segno dell’Acquario, in una famiglia di nobili russi di origini baltiche, Lou intortò per primo il suo precettore, Hendrik Gillot, rigido pastore evangelico, disposto a rompere il suo matrimonio pur di ottenere la mano dell’allieva. Ma niente: lei si negò, inaugurando una lunga serie di due di picche, cuori infranti, spasimanti sull’orlo di una crisi di nervi. Agli uomini (si) concedeva poco, tenendosi ben stretta la propria verginità: la perse a 36 anni, probabilmente con Rainer Maria Rilke, che aveva 14 anni meno di lei. Prima del poeta, però, aveva già fatto strage in mezzo continente.
Il suo talento per i triangoli amorosi – geometrico, precisissimo – si rivelò a poco più di vent’anni, nella Roma salottiera del 1882, in cui fu introdotta dalla scrittrice Malwida von Meysenbug, che la presentò a Paul Rée e Friedrich Nietzsche, amici e filosofi. E l’amore sbocciò, con l’uno e con l’altro, alternativamente in una santissima “Trinità”. Fu un amore platonico, si capisce: niente sesso, solo elucubrazioni. Il primo a essere scaricato fu proprio Nietzsche, che per lei spese parole lusinghiere – “Una fanciulla molto singolare… acuta come un’aquila e coraggiosa come un leone” –, salvo poi ricredersi, una volta cornuto e scornato (si era anche proposto di sposarla): “È una scimmietta magra, sporca e nauseabonda, con quel seno inesistente e quell’atrofia sessuale”, appuntò furibondo mentre abbozzava Così parlò Zarathustra. Con Rée la liaison durò di più, quasi un lustro di peregrinazioni e fughe e tormenti in mezza Europa: anch’egli le chiese la mano, ottenendo in cambio un secco diniego. Si lasciarono, lui fu ritrovato – cadavere – nel 1901, annegato nel fiume Inn, in Svizzera: un suicidio forse per amore di Lou.
Nel 1886, mentre finiva l’amore con Paul iniziava quello con Friedrich, non Nietzsche, ma Carl Andreas, un orientalista tedesco, l’unico che, dopo un tentato suicidio (sempre per amore di lei), riuscì a portarla all’altare, trasformandola in Lou Andreas-Salomé: “Un Faust in gonnella, poco interessata a gingillarsi con parole vuote. Quello che voleva era scoprire la forza nascosta che regge il mondo e ne guida la corsa: conoscerla, farla propria, amarla”, così la descrisse il marito nel libro My sister, my spose.
Pur longevo e finché morte non li separò, anche il matrimonio non fu mai consumato; la donna aveva altro per la testa: viaggiare e flirtare. La sua più famosa passione da adultera fu per il poeta Rainer Maria Rilke, un giovane toy-boy 21enne per lei già 36enne: si conobbero in vacanza a Wolfratshausen, in Baviera, nel 1897, e rimasero insieme per quattro anni, viaggiando molto, amoreggiando anche. Fin carnalmente. Dopodiché le déluge: “Fosti il sublime che mi ha benedetto. E diventasti l’abisso che mi ha inghiottito”, scrisse lui nel 1910. Perse la donna, ma almeno ritrovò la poesia. Lei, invece, perse solo la verginità. O forse no: l’altro principale indiziato della deflorazione è Friedrich (il terzo della storia) Pineles, medico viennese, con il quale Lou avviò una relazione intermittente, as usual, concedendo però le proprie grazie. I due si lasciarono proprio per un incidente di percorso, quando, nel 1902, lei abortì accidentalmente dopo essere rimasta incinta.
Donna di fascino, Salomé non fu solo mantide, ma anche raffinata intellettuale: istruita, ciarliera, mondana, ispirò molti artisti e scrittori del tempo. Soltanto il vecchio Lev Tolstoj la trattò con indifferenza e scarso ardore; viceversa incantato fu il lubrico drammaturgo tedesco Frank Wedekind, l’ennesimo lumacone, rifiutato dopo le sue esplicite avance in una camera d’albergo: con un pizzico di malizia, il teatrante si vendicò con Lulù, la tragedia di una femme fatale spregiudicata e libertina. La vera Lou, però, occultò sempre, scientemente, il suo temperamento lascivo e la sua doppia vita di lesbica occasionale e festini da una notte e via, “la migliore cosa del mondo, che procura soddisfazioni divine e ci rigenera ogni volta”. Salomé teneva troppo alla propria immagine di donna altera e algida, nobile e fredda, e a letto ritrosetta; la reputazione era tutto per lei: a parte i succitati, i suoi spasimanti furono perlopiù uomini mediocri o sconosciuti, abilmente sottaciuti poiché la signora se ne “vergognava”. Tra i meno noti fidanzati ci furono il filosofo Hermann Ebbinghaus, il sociologo Ferdinand Tönnies e lo psichiatra Viktor Tausk, un altro che morì suicida anche per motivi sentimentali, anche per colpa di Salomé. Conobbe Tausk durante gli studi di psicoanalisi, lei che riuscì persino a diventare pupilla di Sigmund Freud: il maestro rimase folgorato dall’allieva, omaggiata con l’anello d’oro destinato ai discepoli prediletti. Lei lo stuzzicava: “Immorale come sono, ricavo sempre il massimo piacere dai miei peccati”. Ma il dottore non ci cascò del tutto: “L’amavo molto ma, stranamente, senza un’ombra di attrazione sessuale”.
Lou nel frattempo diventò psicoanalista, non disdegnando nemmeno la scrittura: tra le sue opere, alcune – come Erotica e L’umano come donna – diventarono bestseller dell’epoca; altre furono importanti da un punto di vista storiografico, più che letterario (vedi la biografia dell’ex sodale Nietzsche). Nonostante la nutritissima collezione di morosi, Salomé restò insieme solo con uno: suo marito, al cui fianco morì nel 1937, poco prima di compiere 76 anni sotto il segno dell’Acquario: “Sono eternamente fedele ai ricordi, non agli uomini”. Ma – che beffa – è proprio per questi, gli uomini, che verrà ricordata.