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 2019  luglio 11 Giovedì calendario

Biografia di Alessandra Locatelli

Giovanna Vitale per la Repubblica
A vederla così, alle sei di sera, recitare al Quirinale il suo primo giuramento da ministra, si fa quasi fatica a riconoscere nella ragazzona dallo sguardo trepido la militante leghista dura e pura che a Como sgombera i clochard cogli idranti, sradica le panchine dai ritrovi per migranti e in meno di due anni ha scalato tutte le gerarchie fino a espugnare palazzo Chigi.

La sceriffa la chiamano lassù, in riva al lago, dove Alessandra Locatelli è pure vicesindaca, assessora al Sociale, al Decoro e a una miriade di altre cose, oltreché deputata del territorio. «Zarina Ale» c’è scritto sulla cover del suo cellulare. Una, trina e cattivista: immagine che tuttavia stride con la postura assunta al Colle, mentre riconoscente stringe la mano di Sergio Mattarella. «Sarà una bella esperienza», la rincuora lui, paterno. «Sicuramente, grazie», si schermisce imbarazzata lei. Probabilmente memore della campagna lanciata un estate fa contro l’uomo che ora l’ha nominata ma reo all’epoca di aver bocciato Savona all’Economia. «Una ferita a morte per la democrazia », tuonò allora il collega Grimoldi, firmando l’appello per rimuovere la foto del presidente dagli edifici pubblici. Che la neo-titolare della Famiglia, single e senza figli, condivise sui social. E lì è rimasto.
Capelli sciolti, neppure un filo di trucco, sul bavero del tailleur-pantalone la spilletta in oro di Alberto da Giussano con lo spadone sguainato, la 42enne che ha raccolto l’eredità di Lorenzo Fontana è come lui una fedelissima di Salvini. Al quale nei comizi di piazza, in jeans e maglietta col nome del Capitano stampato sopra (ne ha una serie), fa persino da sfollagente. Rivendicandone oltretutto il merito: l’ultima volta tre giorni fa in diretta a CiaoComo, radio locale dov’è spesso ospite gradita.
Partita dal movimento giovanile, una gavetta a base di volantinaggi e gazebo, nel 2017 «Alessandra la tosta » si candida alle comunali e risulta la più votata. Da lì in poi la guerra senza quartiere a poveri e migranti diventa il suo marchio di fabbrica. A dispetto di una laurea in Sociologia alla Bicocca, il volontariato in Africa e un lavoro nelle onlus per disabili, che però le frutta poco: 27mila euro l’ultimo reddito dichiarato. Da vicesindaca promuove una contestata ordinanza anti-bivacco e avverte i concittadini: «Non date un euro ai mendicanti». A fine agosto spedisce le idropulitrici sotto i portici di San Francesco a sparare getti d’acqua contro i senza tetto. Una disinfestazione, spiegano in Comune. «Cattiveria gratuita», accusano le associazioni. Ma lei non si ferma. Toglie le panchine da piazza San Rocco, ritrovo per stranieri, e la fa disinfestare. Nega ai musulmani la piazza per il Ramadam. E l’8 marzo ordina un blitz contro i venditori di mimose: 700 mazzetti sequestrati e multe per 18mila euro.
Fedele interprete del verbo salviniano. E ora pure del suo predecessore: «Non ero al congresso di Verona, ma ne condivido lo spirito», la sua prima dichiarazione da ministra, «credo nella famiglia da tutelare per garantire la crescita del tasso di natalità». Dio e patria li ha già difesi, mancava solo questo.


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Gianluca Roselli per il Fatto Quotidiano
Uno dei più contenti per la nomina di Alessandra Locatelli a ministro della Famiglia è Eugenio Zoffili, deputato di Erba, che con lei ha condiviso una “lunghissima gavetta in Lega, fin da quando, a metà anni Novanta, andavamo insieme ad ascoltare le lezioni del professor Gianfranco Miglio”. In un post su Facebook si vedono Locatelli e Zoffili, già deputati, con la pettorina della Lega e le scope in mano davanti a un cartello: “Stop invasione! Salvini premier”.
Nonostante la lunga militanza nella Lega, la carriera di Alessandra Locatelli (comasca, classe 1976, un divorzio alle spalle senza figli) nella politica attiva è fulminante: nel marzo 2016 diventa segretario cittadino della Lega a Como; alle Amministrative del 2017 viene eletta consigliere comunale e poi scelta dal sindaco Mario Landriscina come vicesindaco e assessore alle Politiche sociali; nel 2018 è eletta deputata nel collegio Lombardia 2. E ora ministro. Tutto in soli tre anni.
A metà dei Novanta, però, era già nei Giovani Padani, senza però arrivare mai in prima linea. “Era una di quelle militanti che vedevi spesso in piazza, o ai comizi di Bossi, o alle gazebate padane. Si vedeva anche a Pontida. Ma poi aveva altro da fare nella vita…”, racconta chi la conosce. Dopo essersi laureata in sociologia a Milano Bicocca con una tesi che col senno di poi le ha portato fortuna (“percorso di carriera delle donne nella Pubblica amministrazione”), inizia a lavorare nel sociale, occupandosi di disabili e minori. In questo ambito, già negli anni Duemila, fa pure esperienze di volontariato, anche in Africa: in Congo e in Nigeria per aiutare (a casa loro) i bambini africani nelle missioni dell’opera Don Guanella. Nei suoi ultimi lavori si occupa di assistenza a disabili, minori e famiglie disagiate. Insomma, almeno conosce la materia.
Poi la vecchia Lega va in crisi, Bossi & the family affondano, arriva Bobo Maroni con le scope a spazzarla via e Matteo Salvini se la pappa in un sol boccone. E lei si adegua perfettamente alla nuova linea. Ha un ottimo rapporto con il Capitano e anche col sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, che è di Cantù. Così, dal 2016, l’accelerazione verso i piani alti. Da assessora e vicesindaca si è fatta notare con provvedimenti in perfetto “Gentilini style”, tanto da guadagnarsi il nomignolo di “sceriffa”. Prima vieta l’accattonaggio in strada. Poi fa togliere le panchine vicine a un punto di ritrovo per migranti. Poi dà battaglia per chiudere il centro comasco per immigrati. In uno dei suoi ultimi post ha attaccato Carola Rackete definendola “una criminale che dice si essere sempre stata ricca e per questo di voler aiutare i migranti”. Ma nel suo mirino è finito pure Sergio Mattarella, quando appoggia la richiesta del collega Paolo Grimoldi che, nel 2018, ha invitato gli amministratori leghisti lombardi a togliere dall’ufficio la foto del capo dello Stato. Lo stesso Mattarella davanti al quale ieri Locatelli ha giurato da ministra.

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Federico Capurso per La Stampa
Tailleur blu notte, spilla dorata di Alberto da Giussano appuntata sul petto e un rossore, apparso sul viso entrando al Quirinale, che lei chiama «grande emozione». I suoi detrattori, velenosi, la correggono: «Grande imbarazzo», perché solo un anno fa Alessandra Locatelli chiedeva di rimuovere dagli uffici pubblici la foto di Mattarella e adesso, proprio di fronte al Capo dello Stato, si trova a giurare da ministro per la Famiglia e le Disabilità. «Ma è una con la pelle dura, che non si lascia scalfire», la difendono nel Carroccio. Ne sono prova gli appellativi di «sceriffa» e «zarina» che gli avversari politici le hanno affibbiato nella sua Como, per il pugno duro usato da vicesindaca contro clochard e migranti. I compagni di partito, invece, la chiamano solo «sid» - dal lumbard «sidela» - il «secchio di colla» tenuto sempre sotto braccio per fare attacchinaggio, dagli albori della sua militanza all’ultima campagna per le Europee. Insomma, una militante di ferro, «fedelissima del Capitano», a cui deve una scalata fulminea nella Lega.
Locatelli prende il posto di Lorenzo Fontana, passato agli Affari Esteri nel primo rimpasto del governo gialloverde, e spera «di portare avanti il compito nel migliore dei modi». Un «lavoro in continuità» con quello di Fontana, che però non si tradurrà necessariamente in una fotocopia di quanto fatto dal suo predecessore. Il presidente della commissione Bilancio alla Camera Claudio Borghi, che la conosce bene, ha «l’impressione che sarà un ministro diverso da Fontana, più equilibrata su alcuni aspetti legati alla famiglia. A proposito del congresso di Verona, ad esempio, non mi sembra sia mai stata una ultras di certe posizioni». Lei, quando esce sorridente dal portone del Quirinale, offre quasi una conferma: «Io a Verona non c’ero». Poi, «da cristiana e cattolica», precisa di «condividere il pieno diritto della famiglia come sancito dalla nostra Costituzione. E credo – aggiunge – che per garantire la crescita del tasso di natalità si debba tutelare la famiglia e supportarla anche economicamente. Viviamo in un’epoca difficile, specie per le famiglie in difficoltà come quelle che hanno in carico persone anziane e disabili».
Il suo passato, che si intreccia nel 1993 a quello dei Giovani della Lega, ha radici proprio nel mondo della disabilità e del volontariato, ma Locatelli promette che non sarà un ministero dedicato «solo ai disabili». Per prima cosa, dice, «incontrerò le persone, le associazioni e le strutture che si occupano di persone fragili che vivono momenti delicati». Impossibile non pensare a quando, da vicesindaca di Como, Locatelli vietava ai clochard di fare l’elemosina, di stazionare in centro città, e impediva che venissero distribuiti loro dei pasti caldi. Intanto, si occuperà «di minori, soprattutto dopo i fatti tragici che abbiamo visto – dice prima di fuggire via in macchina –. Il ministro Fontana ha annunciato una commissione di inchiesta che intendo portare avanti».