Avvenire, 11 luglio 2019
La Cina ha le culle vuote. Possibili rimedi
Con una serie di implicazioni che arrivano a mettere in discussione le prospettive di crescita e di stabilità della Repubblica popolare cinese, quella demografica ha ormai caratteristiche di vera e propria emergenza. Almeno, emergenziali sembrano essere le soluzioni che, a partire dal dato di fatto della fine della “politica del figlio unico”, nell’ultimo quadriennio hanno cercato di rispondere alle esigenze di nuove nascite e alla testardaggine a negarle in una società che si è evoluta in maniera pari se non più rapida rispetto ai risultati economici ma che mantiene forti condizionamenti ideologici e culturali.
Sicuramente, i pianificatori hanno mancato di valutare le conseguenze distorsive della politica demografica ufficiale che ha portato a minori nascite di almeno 300 milioni di cinesi e che rischia ora di far mancare le forze per mantenere lo slancio necessario al Paese. Entro un quinquennio si stima che l’India, che ha una popolazione assai più giovane e che per un trentennio almeno non vedrà il suo culmine demografico, raggiungerà lo stesso numero di abitanti del colosso cinese attorno a 1,42 miliardi per poi proseguire, avvantaggiata, un confronto sul primato regionale e globale.Le due ultime “ricette”, parte di un cocktail di iniziative che rischia di sfuggire al controllo dei pianificatori e creare ulteriori distorsioni, riguardano la possibilità di estendere dai 30 giorni attuali a 60 o anche 90 giorni il tempo concesso per il divorzio alle coppie cinesi – ovviamente con la speranza di un ripensamento che possa favorire eventuali riavvicinamenti – e l’abbassamento dell’età legale del matrimonio. Quest’ultima sta suscitando un certo interesse mediatico e, ancor più, una risposta perlopiù sarcastica da parte dei potenziali destinatari.
L’ipotesi, sollevata pochi giorni fa da alcuni membri del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, di fatto il governo dell’Rpc, prevederebbe l’abbassamento dell’età matrimoniale dagli attuali 22 anni per i maschi e 20 per le femmine a 18 anni per tutti.
La possibilità ha sollevato una pioggia di critiche, a partire dalla constatazione che in una società ancoraconservatrice che non accetta apertamente rapporti tra i sessi nell’età scolare la possibilità di contrarre matrimonio a 18 anni sarebbe quanto meno controcorrente. In secondo luogo, in una realtà che vede costi crescenti e difficoltà ad accedere a impieghi ben retribuiti, «la maggior parte dei diciottenni non ha un reddito, quindi non sembra opportuno mettere su una famiglia in proprio con i soldi dei genitori», ricorda il post di una studentessa su Weibo, il Twitter cinese. «Sposarsi a18 anni quando nemmeno ci si può mantenere da soli e impegnarsi subito a allevare dei bambini? – segnala un altro utente –. Ne uscirebbero individui immaturi da famiglie immature».
C’è chi ricorda che nella Cina contemporanea le differenze sociali sono tutt’altro che appianate e che le autorità hanno possibilità a altri negate («se fossimo ricchi e senza problemi come i membri del Comitato permanente, potremmo sposarci prima»), mentre per altri le unioni precoci aprirebbero le porte a un numero maggiore di divorzi. Reazioni varie ma che per Yi Fuxian, accademico dell’Università del Wisconsin-Madison, noto critico della politica di controllo delle nascite in Cina, erano prevedibili perché è difficile per i cinesi valutare altre forme di “normalità” dopo decenni di imposizione a favore di un solo figlio. Nella mentalità comune, l’abbassamento dell’età matrimoniale equivarrebbe all’obbligo a sposarsi più giovani e non a una scelta basata sulle necessità individuali o di coppia.