la Repubblica, 11 luglio 2019
Prende 100 alla maturità il ragazzo napoletano aggredito
Napoli, il ragazzo aggredito dalla baby gang si diploma con 100 “Mi hanno lasciato cicatrici indelebili nella psiche e nella carne” NAPOLI – Due anni fa ha rischiato di morire. Accoltellato alla gola da una banda di minorenni, in pieno pomeriggio, in una strada trafficatissima del centro di Napoli. Accoltellato senza apparente motivo, e lasciato in un lago di sangue da una baby gang composta da almeno quattro adolescenti. Adesso Arturo Puoti si sfoga nel tema scritto per la maturità: «Nessuno ha mai parlato». Nel quartiere vinse l’omertà. Nessuno vide. «Nessuno ha mai denunciato» è il grido di dolore che Arturo consegna al suo elaborato. Il diciottenne ha appena sostenuto l’esame di Stato nel liceo scientifico che ha sede non lontano dal luogo in cui fu aggredito, via Foria. E ha ottenuto il massimo dei voti: 100 su 100. Con i complimenti della presidente di commissione per il compito d’italiano svolto scegliendo proprio la traccia sulla criminalità, che invitava gli studenti ad una riflessione che partisse dall’esperienza di un “Martire dello Stato”, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Arturo non ha solo risposto alle richieste della traccia, ma ha dato spessore e vita al suo tema raccontando di sé stesso, del suo trauma, di quei momenti che hanno minacciato di cancellare la sua esistenza. Senza compiangersi. Piuttosto – fedele al percorso fatto in questi due anni anche al fianco della madre, Maria Luisa Iavarone, che dal giorno del ferimento del figlio conduce una testarda battaglia civile per sensibilizzare il Paese sulla deriva della violenza giovanile – denunciando ancora una volta il muro di omertà eretto a protezione della baby gang che lo aveva aggredito. «Un muro di silenzio complice con il quale mi sono dovuto confrontare personalmente» scrive Arturo. E subito dopo racconta, in poche frasi, la sua vicenda. «Sono stato vittima, circa due anni fa, di un accoltellamento. Esso mi ha lasciato cicatrici indelebili, sia nella psiche che nella carne, e una di queste è stata l’omertà del quartiere al mio ritorno». Al suo ritorno alla vita, quando dopo qualche giorno il pericolo che non ce la facesse fu scongiurato. Un rientro in una comunità che aveva eretto «un muro apparentemente invalicabile: l’omertà». Scrive Arturo: «Nessuno ha mai parlato. Nessuno ha mai denunciato. Nessuno ha mai riflettuto». Ad ogni punto va a capo. Come per scandire, per dare ritmo tragico, ai fatti. Ed al suo attuale sentire. Alle ferite non rimarginate. All’amarezza che non scompare, per quanto Arturo possa aver metabolizzato l’esser stato tra la vita e la morte. La sua scrittura chiara, da adolescente cresciuto in fretta, consegna con fiducia alla commissione d’esame che avrebbe letto il tema di lì a poco uno spaccato tragico della sua esistenza. Quella denuncia di omertà non è pretestuosa: le indagini non sono riuscite a trovare un solo testimone dell’aggressione del ragazzo, nonostante via Foria fosse trafficata all’ora del tentato omicidio; il processo stesso si è basato su prove ed indizi mai supportati da testimonianze dirette (tre minori sono stati condannati a 9 anni e 3 mesi per tentata rapina e tentato omicidio). «Nessuno ha mai riflettuto su ciò che stavano commettendo, ovvero – scrive ancora Arturo – negare il diritto alla verità a un loro concittadino». Passaggi potenti di un tema da diciottenne. «Scrivere quelle cose è stata, per Arturo, una catarsi», dice adesso la madre. E Arturo sottolinea: «Che senso avrebbe avuto, dopo il vissuto di questi anni, scegliere una traccia che non avesse nulla a che fare con la mia esperienza? Avrei deluso me stesso e anche mia madre» sorride sornione mentre aggiunge che si iscriverà a Medicina «per salvare vite umane, come hanno fatto i medici con me quando ero in condizioni disperate». La prova d’esame di Arturo si chiude tornando sul tema della mafia, «che esiste, non solo come associazione a delinquere, ma anche e soprattutto come modo di comportarsi indegno di uno Stato di diritto».