Corriere della Sera, 11 luglio 2019
Le Tre Regioni ci chiedono troppo
Mano libera: anche nelle aree sotto tutela. Ecco cosa chiede il Veneto, che traina, nella bozza in discussione al Consiglio dei Ministri sulle autonomie. La «potestà legislativa e amministrativa» sui «beni paesaggistici» più «il trasferimento delle funzioni» delle «Soprintendenze archeologiche belle arti e paesaggio» più «la funzione autorizzatoria (…) senza il parere della Soprintendenza». Tutto!
Per carità, nel Vangelo di Giovanni Gesù dice a Tommaso: «Noli esse incredulus sed fidelis». Non essere incredulo ma fiducioso. Noi anche, vorremmo poterci fidare. Ma non ci viene chiesto un po’ troppo, almeno su questo tema, dalle tre Regioni che premono per maggiori competenze, in un Paese come il nostro dove da decenni è quotidianamente violato l’articolo 9 della Costituzione? «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», dice. Ma è andata davvero così, in questi anni?
Si dirà: il controllo dello Stato non è poi servito a molto davanti alla devastazione delle coste calabresi, all’abusivismo nelle zone sotto il Vesuvio e nelle aree ad altissimo rischio idrogeologico, all’obbrobrio delle periferie romane, alle colate di cemento in Veneto (14,7% di consumo effettivo del territorio), Lombardia (16,3%) o Liguria (22,8%)... Per non dire dello sconvolgimento vandalico di tanti centri storici o dei disastri causati al primo terremoto da un’edilizia facilona se non criminale. Giusto. Come sono giuste le critiche a una burocrazia così asfissiante e insulsa da diventare criminogena.
Ma una cosa è certa: certi orrori sono stati fermati (il sacco dei Casalesi alla reggia di Carditello, l’hotel Alimuri sugli scogli sorrentini, l’enorme Ruota sul teatro di Pompei o la pedana in cemento per i matrimoni sul Foro di Capo Colonna), solo o quasi dove è potuto intervenire lo Stato. Sull’osceno bar-ristorante dentro il Castello Maniace di Siracusa no: c’era il via libera, bloccato soltanto dalla magistratura, della soprintendente locale Rosalba Panvini, ora in corsa come assessore regionale.
Così è andata, sempre, nell’unica Regione, la Sicilia (e in parte in Trentino e Sudtirolo) che da decenni ha l’autonomia sul paesaggio e i beni culturali oggi rivendicata non solo da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna (sia pure con qualche distinguo) ma anche da altre Regioni che, dopo aver lasciato distruggere (quasi) senza freni i loro territori non vedono l’ora di avere il via libera alle iniziative più incredibili e selvagge. È stata un disastro, quella autonomia culturale e paesaggistica.
L’aveva capito per primo proprio un siciliano: Concetto Marchesi, catanese, latinista, rettore a Padova e così innamorato della sua terra da opporsi alla concessione all’isola del potere esclusivo su «turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio, conservazione delle antichità e delle opere artistiche, urbanistica, lavori pubblici e musei». Lo spiegò, come spesso ricorda Salvatore Settis, lui pure meridionale ma non orbo, anche alla Costituente: c’era il «forte rischio che interessi locali e irresponsabilità locali (avessero) a minacciare un così prezioso patrimonio nazionale».
Così è stato. Basti ricordare le decine e decine di ruderi di viadotti e stadi, piscine e ospedali tirati su senza che alcuno si mettesse di traverso. L’incapacità di superare le più stupide rivalità campanilistiche per fare di Piazza Almerina (dov’è la Villa del Casale) e della vicinissima Aidone (dove sono le rovine e la Dea di Morgantina) un unico polo archeologico. La distribuzione clientelare di 1545 custodi di cui 415 a Palermo (dove per tutti e cinque gli anni di restauro del Museo Archeologico Salinas gli addetti rifiutarono di lavorare altrove: «Non ci spetta») e 42 all’archeologico di Centuripe per un totale di nove visitatori al giorno. Per non dire della girandola di assessori che toccò il suo picco con la giunta di Rosario Crocetta: sette. Più un interim dello stesso governatore. Tutto in piena autonomia. Il bellissimo teatro greco di Eraclea Minoa è allo sfacelo? Il ministero dei beni culturali non può metterci becco.
E torniamo al tema: di chi è, quel teatro di Eraclea Minoa coperto da una specie di astronave allo sfascio? Solo dei siciliani? E il rudere del castello di Cusago? Solo dei lombardi? E le rovine della cascina di Tavola di Lorenzo il Magnifico? Solo dei toscani? E le Grandi Navi che solcano (sbandando ) le acque di Venezia? Solo dei veneziani? Sinceramente: il ministero dei Beni Culturali andrà pure rovesciato come un calzino, i sovrintendenti che hanno abusato del potere di interdizione andranno pure sbattuti fuori, i funzionari che hanno fatto finta di non vedere le pale eoliche a picco su Sepino dovranno pur essere mandati a casa... Ma davvero dovremmo fidarci di più di una ventina di repubblichine in pugno a chi può infischiarsene di ogni tutela che non gli garbi? Viva il federalismo, ma quei tesori d’Italia sono di tutti noi. E vogliamo avere tutti la possibilità di metterci il naso.