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 2019  luglio 10 Mercoledì calendario

Bellomo ai domiciliari per eccesso di minigonne

Erano solo corsi eleganti. Dal bunga bunga al tonga tonga. Battute sceme a parte, alzi la mano chi ha capito perché l’ex magistrato Francesco Bellomo è stato arrestato ieri e non un anno e mezzo fa, visto che di novità sostanziali non ce ne sono, o noi, perlomeno, non ne abbiamo apprese. L’ordine di arresto domiciliare e le cronache online di ieri (e quelle cartacee di oggi, presumiamo) sembrano infatti scritte nel dicembre 2017, quando scoppiò il caso e i giornali si divertirono a descrivere scenari pruriginosi ora riesumati. Dapprima sembrava che la novità fosse una neo accusa di calunnia e di minaccia nei confronti del sedicente presidente del Consiglio Giuseppe Conte (ai tempi non in carica) come molte testate, per tutto ieri, hanno continuato a scrivere: in realtà il gip, a ben vedere, ha rigettato la richiesta cautelare del pm ritenendola «certamente inadeguata» e comunque «del tutto generica». Insomma: sappiamo, sì, che c’è un altro filone d’inchiesta motivato dal fatto che Bellomo paventò che Conte e la sua collega Concetta Plantamura avessero commesso degli illeciti contro di lui e li citò per danni al Tribunale civile di Bari, la minaccia sarebbe questa. Ma per il resto? Per il resto, Bellomo oggi è un ex magistrato e un ex componente del Consiglio di Stato (espulso) e le accuse sono quelle vecchie: maltrattamenti ed estorsione ai danni di alcune studentesse che frequentavano i suoi corsi di preparazione all’esame per entrare in magistratura. La maggior parte delle pratiche illecite contenute nell’ordine d’arresto della procura di Bari (che indaga da un paio d’anni) sono già state raccontate, benché ora nuovamente descritte dall’accusa come «sistematiche condotte di sopraffazione, controllo, denigrazione e intimidazione in tal modo offendendone il decoro e la dignità personale, limitandone la libertà di autodeterminazione e riducendole in uno stato di prostrazione e soggezione psicologica». 

TUTTO RISAPUTO
Un’allieva e borsista, in particolare, sarebbe stata costretta a rinunciare all’impiego di addetta alla postazione web in programmi televisivi in quanto incompatibile con l’immagine di aspirante magistrato: da qui l’accusa di estorsione. Bellomo era il direttore di questa scuola e di questi corsi per entrare in magistratura, e poteva scegliere alcuni studenti (studentesse, soprattutto) cui assegnare borse di studio che utilizzava per farsi gli interessi suoi. Le ragazze dovevano firmare una sorta di contratto che conteneva clausole tipo l’obbligo di produrre articoli per una rivista di diritto e partecipare a convegni per promuovere l’immagine della società che teneva i corsi. Poi comincia l’assurdo. Nel contratto era anche specificato l’abbigliamento che le borsiste avrebbero dovuto adottare (nel dettaglio scarpe alte, trucco, calze e gonne corte) con altre follie tipo la revoca della borsa di studio se lei si fosse sposata o fidanzata con un personaggio sgradito a Bellomo. A parte queste cose già stra-dette e stra-descritte, e che molti quotidiani vi spacceranno come novità, la verità è che a un anno e mezzo ci siamo già dimenticati lo scandalo vero: che il connivente Consiglio di Stato abbia volentieri scaraventato un singolo e indifendibile soggetto nel fossato dei serpenti, e questo non solo espellendolo com’è giusto (fatto già in sé rarissimo in settant’anni di Consiglio) ma lasciando che divenisse una clamorosa eccezione a conferma della regola del caos, ergo un capro espiatorio su cui a suo tempo si esercitarono tutti i censori del caso.

IL VERO PROBLEMA
Ma lo scandalo, visto in filigrana, nascondeva a nasconde una realtà molto diversa. Il corso di Bellomo era un corso non obbligatorio per affrontare l’esame per magistrato, i suoi contratti erano palesemente nulli perché nessun contratto potrebbe imporre pretese del genere (per saperlo basta non essere scemi) e comunque alcuni contratti venivano firmati da borsiste che avevano accettato una relazione sessuale con Bellomo, approccio che ci è difficile pensare spontaneo e slegato ai buoni esiti del corso. Ma il problema non è questo. Una signorina che accetti di vestirsi in un certo modo, e così truccarsi, e i tacchi e le calze, una signorina che accetta clausole che vietavano i matrimoni e condizionavano i fidanzamenti e autorizzavano a mettere in rete ogni dettaglio sessuale (una signorina che creda che altrimenti avrebbe pagato 100mila euro di penale ) forse c’è da credere che sia troppo stordita per poter fare il delicato mestiere del magistrato: perché troppo facile da circonvenire o da corrompere, troppo, insomma, sprovvista dell’equilibrio necessario a decidere della vita altrui. Il problema era e resta questo. Perché il punto è che molte borsiste allevate da Bellomo, magistrati, anzi magistrate, lo sono poi diventate. Un altro problema è che siamo ancora in attesa di sapere come siano stati possibili dei comportamenti del genere in un ambiente come quello del Consiglio di Stato, organo di rilievo costituzionale. Una volta esploso il caso Bellomo, un paio d’anni fa, si mossero improvvisamente tutti: dalla procura di Bari (che ora procede) a procure come Milano, Roma e Piacenza. Ora, con un anno e mezzo di ritardo, l’arresto. E non si riparla più di un ambiente, il suo, che gli ha consentito per anni comportamenti simili. Parliamo di uno stimato professore, con la faccia da ragazzino, che arrivò tranquillamente al Consiglio di Stato dopo esser stato magistrato ordinario dal 1996 al 2002: il posto ora riservato alle sue studentesse, un posto, cioè, da cui è possibile fare ben di peggio che negare una borsa di studio con metodi da megalomani sessuali.