il Giornale, 10 luglio 2019
Dépardieu chiude il ristorante a Parigi
Domani sarà messo all’asta tutto, in 250 lotti: pentole, fornelli, sedie, arredi. Forse anche la statua di Obélix a grandezza naturale che campeggiava in un corridoio. Anche se è probabile che i lotti più ambiti saranno quelli contenenti le migliaia di bottiglie pregiate che componevano la fastosa cantina: decine di Château Latour, di Haut-Brion, di Saint-Émilion, di Meursault e dei migliori Champagne.
Si daranno appuntamento i più facoltosi enoappassionati di Parigi domani nella casa d’aste dove Gérard Dépardieu venderà ciò che resta del suo ristorante La Fontaine Gaillon, chiuso qualche settimana fa. Si trovava al numero 1 di rue de la Michodière, tra la Borsa e l’Opéra Garnier, in un crocicchio dominato da una fontana neoclassica dentro una nicchia attorno la quale nella bella stagione si stipavano i piatti, stretti stretti come da tradizione francese. L’attore ha chiuso il locale dopo sedici anni (lo aprì nel 2003 con l’allora compagna Carole Bouquet e altri soci con un party a cui partecipò anche Johnny Hallyday) di buoni successi. Già, perché alla Fontaine Gaillon sembra si mangiasse bene davvero. Le guide gastronomiche tenevano in buon conto quell’indirizzo, in una città dove peraltro le insegne stellate sono più di cento (a Milano, per dire, sono 18). La cucina, diretta dallo chef Pascal Lognon-Duval, era classica e ben eseguita, il piatto forte era il Merlan Colbert, una spigola fritta con testa e coda ben in vista, i prezzi tutto sommato contenuti considerando la location, il lusso e la fama del patròn. Il quale peraltro pare fosse davvero molto munifico e generoso di consigli con i suoi dipendenti e molto presente tra cucina e sala.
Del resto Dépardieu è uno dei pochi casi di vip con il phisique du rôle del gourmet, con la sua pancia tonda e il suo sguardo da Pantagruel della vita. Quindi nel suo caso più che di investimento può parlarsi dell’espressione di una vera filosofia di vita. Dépardieu pssiede ancora il bistrot Le Bien Décidé nel Quartiere Latino, che con una pescheria e a una gastronomia fanno di rue du Cherche-Midi un vero distretto del Dépar-food.
Dépardieu non è certo il primo vip a chiudere il suo ristorante, anche se il suo non può certo essere raccontato come un insuccesso. Tra gli «osti della malora» si annoverano Kevin Costner, che nel 2009 chiuse il suo The Clubhouse in California, che languiva da anni dopo il lancio nel 1997 ed Eva Longoria, che escogitò a Las Vegas un format innovativo di ristorante al femminile (non a caso si chiamava She) nel quale le porzioni erano piccole e sul menu c’era uno specchio con il quale controllare il trucco: durò solo due anni, tra il 2012 e il 2014. Durò qualche anno in più Madre di Jennifer Lopez a Los Angeles, locale di cucina portoricana che non sbancò i bottegini gourmet. Tra i vip che se la cavarono meglio sulle scene che in cucina anche Justin Timberlake, Britney Spears, Ashton Kutcher e il quartetto formato da Christy Turlington, Claudia Schiffer, Elle MacPherson e Naomi Campbell, che nel 1995 aprirono il Fashion Café al Rockfeller Plaza di New York per chiudere i battenti pochi mesi dopo. In Italia si ricorda la disavventura di Serena Grandi, che si beccò anche una denuncia per aver portato via del materiale dalla sua Locanda di Miranda a Rimini dopo averlo venduto.
Di rimarchevole successo invece la vicenda del ristoratore Robert De Niro, che aprì nel 1994 il primo locale con Nobu Matsuhita. Oggi Nobu è una catena con decine di locali fusion nelle maggiori città del mondo (ce n’è anche uno a Milano). E a proposito di Milano tra i vip ristoratori ci sono l’attore Antonio Albanese, socio di Ratanà, Diego Abatantuono, che mette i soldi e la faccia in Meatball Family, piccola catena di polpetterie, e gli ex calciatori Rino Gattuso (Bistrot ittico Gattuso&Bianchi a Gallarate), Pietro Paolo Virdis (Il Gusto di Virdis), Clarence Seedorf (Finger’s) e Javier Zanetti (El Gaucho).