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 2019  luglio 10 Mercoledì calendario

Stretto di Sicilia, stop al saccheggio di gamberetti

Oggi l’Italia chiude le tre zone di salvaguardia marina più cruciali del Mediterraneo, che ha finora lasciato saccheggiare impunemente dai pescherecci. Un decreto del ministero delle Politiche agricole, che ha la delega sulla pesca, pone fine – almeno sulla carta – alla decimazione di gamberi e merluzzi nelle aree di riproduzione dello Stretto di Sicilia. Ma, al tempo stesso, danneggia le comunità di pescatori del litorale meridionale dell’isola che da quei fondali pescosi traggono guadagni. Le reti a strascico vengono messe fuori legge in uno spazio di 1.700 Km quadrati (quasi una volta e mezza Roma) che comprende i due banchi fangosi davanti Mazara del Vallo e Sciacca. Nonché quello più lontano e meno battuto, al largo di Capo Passero (punta sud-est dell’isola). Le tre riserve erano state istituite nel 2016 dalla Commissione globale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm), un’agenzia della Fao preposta alla gestione sostenibile dei nostri mari. Vi aderiscono tutti i Paesi rivieraschi della sponda sud e nord, tra cui Italia, Tunisia e Malta che da anni si contendono porzioni di mare popolate da quantità record di prelibatezze ittiche. Tutte minacciate da eccessive catture di esemplari appena nati che non hanno il tempo di riprodursi.
Finora i tre Paesi hanno violato la decisione della Gfcm consentendo alle proprie flotte di depredare le tre zone. Non a caso, nei piani di gestione negoziati con la Commissione europea nel 2018, l’Italia ha lasciato in sospeso la chiusura delle aree di Mazara e Sciacca, parzialmente ricomprese nelle sue acque territoriali. “Ogni anno le due zone ci offrono, mediamente, quasi 40 tonnellate di merluzzo (il 4% dell’intero pescato italiano nello Stretto) e 100 tonnellate di gambero rosa (il 2%)”, dichiara Domenico Asaro, armatore e rappresentante Federpesca a Mazara. “Ieri la capitaneria di porto ci ha annunciato che non possiamo più andarci, con perdite annuali di 40-50 mila euro a peschereccio”.
L’anno scorso, 75 imbarcazioni, tutte italiane, avrebbero totalizzato 22 mila ore di pesca nell’area sotto Mazara, la marineria più grande (con l’80% del tempo di pesca complessivamente registrato nelle tre aree). Segue con 42 imbarcazioni e 4 mila ore (il 14% del totale) l’area sotto Sciacca che è la comunità più colpita dal divieto, visto il facile accesso finora goduto alla zona antistante (distante neanche 2 Km). Quest’area è condivisa con le marinerie di Licata, Porto Empedocle e Pozzallo che operano, insieme ai maltesi, anche nella zona protetta sotto Capo Passero (6% del totale). I dati, ottenuti in esclusiva dal Fatto, riguardano i pescherecci che hanno all’attivo più di 20 ore di pesca. A elaborarli è stata l’Ong Oceana che li sottoporrà al comitato di vigilanza della Gfcm il 15 luglio. “Abbiamo analizzato i segnali di geolocalizzazione trasmessi dai sistemi anti-collisione (Ais) delle imbarcazioni”, spiega Nicola Fournier, responsabile pesca di Oceana. Che aggiunge: “In base alla posizione, la velocità e le rotte, abbiamo calcolato la durata delle presunte attività di strascico”. Secondo Greenpeace, i pescherecci tricolore sospetti sarebbero quasi 150, compresi quelli con meno di 20 ore di attività. La presenza dei tunisini è per ora trascurabile. Tuttavia, puntualizza Fournier, “le loro imbarcazioni più piccole (meno di 25 metri) sfuggono ai monitoraggi non avendo l’obbligo di installare i sistemi di rilevamento”.
Le incursioni illegali nelle zone vietate sono state confermate dall’Agenzia europea per il controllo della pesca che, solo nel 2018, ha colto in flagrante almeno 26 imbarcazioni. I rapporti delle ispezioni annuali condotte in mare dall’Agenzia, a cui partecipano anche agenti della guardia costiera, sono a disposizione del governo. Per ora niente arresti o multe, stando alle informazioni trasmesse dal ministero secondo cui solo a fine giugno l’Ue, anch’essa parte contraente della Gfcm, avrebbe reso obbligatoria per tutti i Paesi la chiusura delle tre aree. “Una chiusura anticipata da parte dell’Italia avrebbe penalizzato solo gli operatori nazionali, non essendovi garanzie che gli Stati limitrofi avrebbero imposto le stesse limitazioni ai propri pescherecci”, spiega il ministero. Una giustificazione politica contraddetta dal fondatore della Gfcm: la creazione delle tre zone protette (al pari delle altre decisioni) è in vigore per tutti i Paesi mediterranei, Ue e non Ue, già dal quarto mese dopo la sua adozione. Da allora si è accumulato un ritardo di due anni e mezzo. E, a Bruxelles, la Commissione europea non esclude azioni contro l’Italia in caso di prolungata inadempienza.
“È urgente avviare i controlli per far rispettare i divieti e consentire la rigenerazione delle risorse ittiche nelle zone di riproduzione, anche per il bene del pescatori”, commenta Giorgia Monti, responsabile mare di Greenpeace. “Stimiamo che la riduzione dei guadagni, di circa il 10%, sarebbe compensato dall’incremento di pesce e quindi delle catture giornaliere già dall’anno successivo alla chiusura”, aggiunge Fabio Fiorentino, ricercatore dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Cnr. “La tutela delle tre aree è condivisibile visto che gli stessi pescatori si lamentano della costante riduzione del pescato, purché si difendano redditi e occupazione”, dichiara Giovanni Basciano, vicepresidente dell’Associazione delle cooperative italiane del settore. Gli fa eco il suo superiore, Giampaolo Buonfiglio: “Il governo eroghi indennizzi tramite il Fondo europeo per la pesca”.