La Stampa, 10 luglio 2019
Intervista a Roberto Capucci
Le vetrate del salotto amplificano il caldo in questo attico nel cuore di Roma. «Mi scusi ma io odio l’aria condizionata», dice il padrone di casa, Roberto Capucci, l’artista della moda. «Il termine stilista non mi è mai piaciuto, preferisco artigiano creativo». Sul tavolo il dvd del docufilm che il regista Ottavio Rosati ha girato su di lui. Alle spalle del divano bianco la foto della sorella Marcella morta dieci anni fa per uno scippo. «La donna più importante della mia vita», dice.
La sua è stata ed è ancora una vita dedicata alle donne. Furono le giornaliste americane a convincerla ad andare a Parigi.
«Si, me ne andai dalla Camera della moda dopo 10 anni di lavoro a Roma e aprii a rue Cambon».
Un tradimento?
«Oriana Fallaci scrisse che ero un "traditore con le forbici". Ma non era vero. C’era la sartoria in via Gregoriana a Roma che funzionava benissimo mentre a Parigi avevo l’alta sartoria».
La Fallaci divenne una sua cliente giusto?
«Fu lei nel 1952 a scrivere il primo articolo su di me, sulla mia sfilata nella sala Bianca di palazzo Pitti. Era una donna molto simpatica Andavamo molto d’accordo, mi veniva sempre a trovare quando veniva a Roma. Ci siano dati sempre del lei. Si comprava i vestiti e in un libro scrisse "il mio bel tailleur di Capucci insanguinato" raccontando di quando venne ferita a città del Messico».
Difficile immaginare la Fallaci nelle sue creazioni visionarie.
«Le facevo tailleur semplici dal taglio maschile».
Un’altra sua cliente è stata la Mangano.
«Una donna di un fascino incredibile. Dopo il film Riso amaro mi disse che si era vista volgare, voleva cambiare. La chiamavano la bomba atomica italiana e lei lo detestava. Così si impegnò per dimagrire e si mise a studiare, a leggere. Voleva essere non solo bella ma colta e sofisticata. E ci riuscì. Grande carattere. Vestire una donna che sa quello che vuole e con una grande personalità è più facile. Quando oggi vengono solo per avere la mia "firma" è un problema».
Rajna Kabaivanska, il grande soprano, altra sua cliente, ha detto che i suoi abiti possono annullarti.
«Diceva che prima li devi combattere, poi indossarli e se te li fai amici ti rendono straordinaria, altrimenti soccombi. Lei aveva questa forza. Le piaceva azzardare e quando entrava in scena nei suoi recital studiavamo insieme la sua entrata».
La Callas?
«Mai vestita: lei aveva la Biki a Milano e rubare clienti a una collega non è il genere mio».
A Parigi conobbe Cocò Chanel?
«Una donna molto dura e scostante ma era il suo carattere, non aveva colpa».
Il suo incontro con Anna Magnani?
«Mi piacevano i suoi film, il suo carattere forte. Poi venne in sartoria portata da Valentina Cortese dove io avevo molte vendeuse, tutte figlie di ambasciatori, belle ed eleganti. Quando lei entrò aveva in braccio la sua bassotta Lillina, che si doveva incrociare con il bassotto di mia sorella. Si guardò intorno e disse "a me questo ambiente non piace". Non salutò nessuno, scelse cinque vestiti e quando andò via io chiamai la premiere e le dissi di non mettere in lavorazione i vestiti. Perché è stato un incontro sbagliato».
E i bassotti?
«Non se ne fece niente».
Anche con Sophia Loren non c’è stata empatia, vero?
«Le ho fatto 4 o 5 vestiti. Un rapporto sbagliatissimo. Venne all’improvviso in sartoria quando normalmente ci si faceva annunciare. Per ogni vestito doveva chiedere il permesso a suo marito, Carlo Ponti. E soprattutto pretendeva di non pagarli perché indossandoli mi faceva pubblicità. Avrei voluto saperlo prima, almeno. Lasciamo perdere. È stata un’esperienza sbagliata. Quando provava parlava sempre delle altre attrici».
Male?
«Questo lo dice lei. Una bella donna ma non il mio genere.»
Oltre al lavoro cosa fa oggi?
«Viaggio molto in oriente, dalla Cina al Bhutan, Laos, Birmania, Cambogia. In India sono stato 37 volte».
Quest’anno?
«Dovrei andare in Pakistan».
Con chi viaggia?
«Siamo in 8 persone, quasi tutte donne molto ricche. Clienti e amiche».
Lei ha fatto l’Accademia di Belle Arti, come è finito a fare abiti?
«Grazie a una giornalista che vide i miei disegni. Avevo 19 anni. Mi portò lei le prime clienti. Isa Miranda, bella dolce, serena; Doris Duranti, tutta fuoco, l’amica dei gerarchi fascisti, ed Elisa Cegani, l’amica segreta di Blasetti di cui nessuno doveva sapere ma che tutti sapevano. Poi venne Franca Rame che ancora non era sposata con Dario Fo. E poi arrivò l’aristocrazia sulla scia della principessa Pallavicini, che quando è morta mi ha lasciato in eredità tutti i vestiti che le avevo fatto, anche quando era paralizzata e voleva che si coprissero i braccioli della carrozzella. Ho avuto clienti in tutto il mondo. In Italia le più eleganti sono state le signore di Genova e Torino».
Oggi le clienti chi sono?
«Tutto un altro mondo. Sono meno affascinanti. Vogliono tutto stretto, scollato. Se non sono fasciate non sono contente. Hanno bisogno di essere sexy e pensano di diventarlo con il vestito. Ma non c’entra niente. È la testa che ti rende sexy» .