La Stampa, 10 luglio 2019
È in calo la spesa per la sanità pubblica
Faremo anche parte del G7, il club dei Paesi più industrializzati del mondo, ma ci facciamo piccoli piccoli quando si tratta di investire nella tutela della nostra salute. Le tabelle nuove di zecca pubblicate dall’Ocse sul suo sito dicono infatti che la spesa sanitaria pubblica italiana è sempre più distante dai livelli garantiti negli altri Paesi avanzati. Per l’esattezza Stato e Regioni a parità di potere di acquisto, investono per ogni cittadino italiano circa 500 dollari in meno della media Ocse, 2.545 dollari contro 3.038.
Ma se la coperta del pubblico si fa sempre più risicata, si allarga invece quella che gli italiani tessono attingendo alle proprie tasche. Così la spesa pro capite «out of pocket», ossia non mediata da fondi o assicurazioni tocca oramai quota 791 dollari, contro una media dei Paesi più avanzati che è di 716. Ed è un esborso sempre più alto che mette a rischio più di altri i bilanci familiari, perché le spese possono diventare «catastrofiche», come dicono gli economisti, di fronte a problemi di salute gravi, che richiedono riabilitazione o cure domiciliari dove il pubblico scarseggia. Anche per pillole e sciroppi spendiamo più della media Ocse, con 601 dollari pro capite contro 553. Colpa di una certa mania dei medici a prescrivere e degli assistiti a consumare farmaci anche quando non servono, come denunciato più volte dall’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Senza tralasciare i piccoli e grandi sprechi che si celano dietro quel dato, come le confezioni dei medicinali fatte a posta per far restare nei cassetti pillole in eccesso rispetto al ciclo terapeutico consigliato. O il miliardo che ogni anno gli italiani spendono per pagare la differenza di prezzo tra un medicinale griffato e il suo più economico corrispettivo generico, in tutto e per tutto uguale all’originale. Sprechi a parte resta il fatto che il trend di crescita dello 0,2% della spesa nel nostro Paese è tra i peggiori del mondo. Oramai fatta eccezione della Spagna, che ha un livello di spesa sanitaria pubblica simile al nostro, tutti i Paesi avanzati spendono molto più di noi. Il Regno Unito quasi 600 euro pro-capite in più, forbice che sale a ben 1.596 dollari quando ci si confronta con la Francia e a 2.511, praticamente il doppio, facendo il parallelo con i tedeschi. Per non parlare degli Stati Uniti, dove la spesa pro-capite governativa è pari a 8.949 dollari, nonostante il livello record di quella privata.
Segno di un modello di tipo assicurativo non proprio da imitare. Anche perché il nostro sistema di assistenza alla fin fine funziona, visto che quando organismi pubblici come l’Agenas vanno a misurare le performance degli ospedali italiani per cose come sopravvivenza a infarto, ictus o tumori ce la caviamo spesso meglio di altri Paesi anche più avanzati del nostro. Il problema è che a furia di tagliare i finanziamenti l’accesso alle cure inizia a diventare una corsa ad ostacoli. Soprattutto per chi ha redditi più bassi o vive al Sud, come mostrano tutti i più recenti studi. Così mentre Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, spalleggiate dalla Lega, chiedono più autonomia anche in sanità, il ministro della Salute pentastellato, Giulia Grillo ha avviato la maratona di tre giorni, che si conclude oggi, per raccogliere i suggerimenti di tutte le categorie sanitarie alla messa a punto finale del Patto per la salute da sottoscrivere con le Regioni.
Un accordo che tra le altre cose prevede di cancellare il super ticket di 10 euro su visite e accertamenti e un nuovo sistema di esenzione basato sul reddito familiare, in proporzione al quale dovrebbe essere determinato un tetto massimo di spesa per i ticket, superato il quale non si pagherebbe più nulla. Via libera anche all’utilizzo degli specializzandi per coprire i vuoti nelle piante organiche mediche in ospedale. Ma il nodo resta come sempre quello delle risorse. Le Regioni chiedono assicurazioni sui tre miliardi e mezzo in più previsti dall’ultima manovra, che una clausola di salvaguardia voluta dal Tesoro mette invece in discussione. Soldi che servono per non aumentare ancora il gap con i Paesi Ocse. E senza i quali rischia di saltare anche la firma dei Governatori al nuovo Patto.