Il tour abbraccia la beneficenza per un progetto Unicef.
«Ho sentito la necessità di restituire in qualche modo la fortuna che ho avuto: poter vivere di musica. Ho deciso di donare una parte dell’incasso per alcuni villaggi in Mali, partirò a ottobre per visitarli. Ricambio la fiducia e la buona sorte che mi è stata data».
Qual è la sua idea sul tema dell’immigrazione?
«Concetti semplici, cerco di aiutare le persone e penso che l’umanità sia alla base di tutto: siamo tutti uguali, viviamo tutti sotto lo stesso cielo».
All’Olimpico è stata la sua prima volta: i dieci stadi della prossima estate la preoccupano?
«No, ho fatto tre dischi in poco tempo e credo debbano essere ancora consumati; e poi amo fare le cose in grande, sono anche pronto a rischiare. Comunque andranno le cose, saranno feste bellissime».
Se prima del concerto non ha dormito per giorni, quali sensazioni ha vissuto dopo?
«Ho dormito anche meno per l’adrenalina, e per due o tre giorni sono rimasto un po’ stordito, non facevo che ripensare a quanto era successo, ho rivissuto ogni momento, poi pian piano ho smaltito l’emozione».
Al termine del concerto all’Olimpico ha anche pianto.
«Beh, quello è stato un momento particolare, molto toccante, perché per me Sogni appesi rappresenta la canzone più importante tra quelle che ho scritto: è l’ultima che suono nei concerti, l’ultima traccia del mio primo disco nonché la dodicesima, e dodici è il mio numero preferito. Mentre la cantavo all’Olimpico sapevo che era l’ultima canzone in scaletta e che per un anno non avrei più cantato in pubblico prima della prossima estate. Mi ha dato un po’ di tristezza, ho pianto, però era anche un pianto liberatorio».
Tra l’altro "Sogni appesi" è stata la canzone con la quale lei si presentò la prima volta ai discografici ricevendo un rifiuto.
«Prima di cominciare a lavorare con la mia attuale etichetta, le strade le ho provate un po’ tutte, comprese quelle per le quali ti presenti alle case discografiche dicendo che sei amico del fratello della cugina del marito della figlia, insomma quelle cose lì. Avevo 17 anni e avevo appena scritto Sogni appesi, la cantai davanti a un discografico: ricordo che si avvicinava l’estate e il discografico mi disse: “La canzone è bella ma la gente vuole divertirsi, soprattutto d’estate”, come se la musica fosse fatta per il divertimento estivo. Ne uscii distrutto, non riuscivo a credere che una cosa così tanto sentita venisse scartata perché non rispondeva al divertimento. Sogni appesi ha ricevuto talmente tante porte in faccia che quando la canto in uno stadio mi riempio di orgoglio, perché rivedo passarmi davanti tutte quelle persone».
L’incontro sul palco con Antonello Venditti è stato emozionante, quasi un passaggio di testimone. Venditti ha detto: «In te rivedo me tanti anni fa». Lei come lo ha vissuto?
«Non spetta a me dire se sia stato un passaggio di testimone, io mi sono limitato, detto tra virgolette, a cantare con uno dei miei artisti preferiti, con uno dei più profondi cantautori italiani: è stato come realizzare un sogno. Ma tutta "La favola" all’Olimpico è stata piena di sorprese, come lo è stato scoprire che stavo cantando per tanti trentenni che erano lì a seguirmi sotto al palco. A 23 anni ti senti ancora più responsabile».
Le sue canzoni sono caratterizzate da incertezze e sogni irraggiungibili, il successo potrà cambiare la sua scrittura?
«Il successo non ha diminuito le mie incertezze, anzi, mi sento ancora più sotto pressione. La sensibilità resterà la stessa: per me descrivere un’incertezza significa dare la possibilità a chi ascolta di urlarla al cielo e così di superarla».
Ha detto che non tornerà al Festival di Sanremo.
«Ho solo detto che per un po’ di tempo sarò preso da altro e mi concentrerò sui live. Poi si vedrà: nessun ripensamento, Sanremo mi ha dato tanta visibilità».