la Repubblica, 10 luglio 2019
Una nave e un cacciavite per la flotta libica
TRIPOLI – Con un cacciavite hanno fatto miracoli. Alla fine, i meccanici della marina militare italiana che da due anni sono in porto a Tripoli hanno rimesso in piedi la Guardia costiera, ma soprattutto (fatto poco noto) stanno ricostruendo la marina libica, trasformandola di fatto nella prima “forza armata” legale di uno stato che per il resto si affida alle milizie.
Visto dalla Libia il lavoro della nostra Difesa è un grosso successo operativo, che però in Italia rimane al centro delle polemiche politiche di questi giorni. È stato un errore rimettere in piedi la Guardia costiera libica, dicono in molti. Qual è il loro ruolo nel grande gioco del traffico dei migranti fra Africa e Italia? Sono guardie o sono ladri?
In Libia ieri sui migranti un segnale importante c’è stato. Il governo del presidente Fayez Serraj ha liberato gli ultimi 350 migranti che erano rimasti nel centro di detenzione di Tajoura, quello bombardato dall’aviazione del generale Haftar. L’Unhcr ha ringraziato il governo libico: Serraj e il ministro dell’Interno hanno l’idea che i centri di detenzione vadano chiusi, perché creano solo tensione con la comunità internazionale. Tripoli adesso sta cercando maggiore coordinamento proprio con l’Unhcr e con l’Oim, l’organizzazione per i migranti. Una fonte vicina al vice-presidente Maitig dice però che «l’immigrazione illegale in Libia prevede la detenzione, la popolazione spesso è terrorizzata da grossi numeri di migranti in zone che non hanno presenza di forze di polizia». E quindi, paradossalmente, nella Libia tormentata dalla guerra civile i poveri migranti pagano il prezzo delle paure, del timore che suscitano in moltissimi. A seconda di come proseguirà la valutazione della Libia sui migranti, si capirà anche come gestire al meglio il tema Guardia costiera e “addestramento italiano”.
Intanto i fatti: da due anni ogni 4 mesi una nave-officina della marina si alterna nella base di Abu Sitta per fare manutenzione a navi e motovedette libiche. «Adesso ci siamo noi di Nave Caprera, una unità di supporto logistico come tutte quelle della classe Gorgona che ruotano qui», dice il comandante dell’unità Lorenzo Racconi. «Noi militari naturalmente non entriamo nelle valutazioni o nelle polemiche politiche», dicono sul Caprera. Raccontano il loro lavoro, e rivendicano: «In Italia c’è attenzione solo sul tema migranti, ma qui in Libia molti si sono accorti dell’importanza del lavoro fatto per far ripartire marina e Guardia costiera come istituzioni del Paese».
Il capitano di fregata Roberto Bontempo, un ufficiale palombaro del Comsubin, è il capo di tutta la missione di assistenza: «Nell’agosto del 2017 il grado di efficienza delle navi libiche era dello 0%, ovvero nessuna nave in grado di navigare. Oggi abbiamo 4 navi al 100%, 2 navi all’80%, ovvero capaci di andare in mare con avarie minori. Ancora, 6 motovedette al 100% e altre 5 con anomalie minori».
Il progetto voluto da Marco Minniti quando era ministro dell’Interno prevedeva che la marina italiana assistesse gli ufficiali e i marinai libici poco alla volta anche ne lla formazione, sia nel settore della manutenzione che nel percorso di crescita professionale degli ufficiali. Anche se il cuore della missione rimane “meccanico": «La delicatezza dei motori marini rispetto ai normali motori diesel è il vero problema di tutte le marine del mondo, soprattutto delle unità più spinte, anche a Tripoli a terra è difficile trovare officine o centri che possano interagire con i loro meccanici». Tutto si fa sul Caprera oppure arriva dall’Italia o dai mercati dove si trovano i pezzi di ricambio. Bontempo spiega però che nel frattempo gli italiani hanno collaborato a costruire qualcosa di più strategico rispetto alla riparazione dei motori: «Abbiamo costituito il Libyan Maritime Operation Coordination Center, un centro della marina militare che con radar e altri impianti elettronici ha il controllo delle acque libiche». Questo significa che il centro è in funzione h24, ci sono turni, c’è formazione del personale, molti si spostano in Italia per corsi di aggiornamento e poi rientrano a Tripoli.
Nel 2017, quando Minniti avviò il piano, l’Italia restituì 4 motovedette classe “Bigliani” alla Libia, poi distribuite a Tripoli, a Misurata e a Zawya. Quest’ultimo porto rimane uno dei centri più pericolosi per il contrabbando di petrolio e di droga. Adesso dovrebbero arrivarne altre 10. Ma, oltre allo sforzo dell’Italia, sono proseguiti i programmi dell’Unione europea per l’addestramento e la formazione del personale. Anche la Francia ha offerto 6 motovedette alla Guardia costiera e l’Olanda materiale per il salvataggio dei migranti. L’Oim, l’organizzazione internazionale dei migranti dell’Onu, lavora con la Guardia costiera per l’identificazione dei migranti e per le tecniche di salvataggio in mare. Dice uno dei consiglieri del governo Serraj: «Vedo che in Italia ci sono polemiche, non sappiamo capirle. Visto che avete messo in piedi la Guardia costiera e la marina libica sarebbe meglio cambiare, migliorare le cose se ci sono dei problemi, ma comunque continuare». Sul Caprera i turni continuano: la missione è molto solida, non è chiaro se l’Italia ha interesse a continuare.