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 2019  luglio 10 Mercoledì calendario

Biografia di Achille Lauro

Achille Lauro (Lauro De Marinis), nato a Roma l’11 luglio 1990 (29 anni). Cantante. «Roma è tantissime cose insieme. Il fatto che sia immensa e mal gestita paradossalmente l’ha fatta diventare culla di molti artisti. Ho vissuto l’esperienza della solitudine e dell’abbandono di intere zone, ma è stato il motore per l’arte: ho imparato a farne tesoro. Il contrasto mi ha aiutato a prendere la mia strada e a scrivere i testi che scrivo» • «Chiamandomi Lauro ed essendo questo un nome molto originale, quand’ero piccolo capitava spesso l’associazione “Lauro come Achille Lauro”, l’armatore campano, e allora ho deciso di sfruttarlo anche per la musica. Non mi piaceva l’idea di inventarmi un nome a caso» • Secondo figlio di una famiglia borghese, ha spesso descritto il padre, docente universitario, come un uomo autoritario, e la madre invece come un modello positivo. «La mia famiglia era scioccante, le dinamiche affettive erano talmente complicate da costringermi a una costante attenzione su di esse: sembrava che nessuno fosse al posto giusto, che nessuno provasse quello che doveva provare. Non capivo come l’intelligenza potesse generare violenza, perché il bene non riuscisse ad avere la meglio sul male. Poi c’era mio fratello più grande di me di cinque anni. Lui, quando ci sedevamo a tavola, fissava il piatto: era impossibile per me capire che cosa pensasse, o se gli mancasse il coraggio per reagire. So che soffriva. […] Durante le scuole medie, io, che prima giocavo solo nel cortile condominiale con i bambini della mia età, incontro parte degli amici con cui cambierò completamente e per sempre. Lascio lo sport e non apro più i libri, anche se ero giudicato un ragazzo brillante. […] Non mi sono mai spiegato il perché, ma è in questo periodo che comincio a sentire prepotente l’esigenza di “avere”. Dalla prima media, in giro tutto il giorno e anche la sera, frequento il Sisto Quinto, un centro sociale di zona, giro per le varie comitive di ragazzi più grandi di me. Sempre ben accetto da tutti, venivo preso sotto l’ala dei peggiori: questo ha fatto di me “un uomo”. […] Alla fine della scuola media mia madre capisce che mi stavo allontanando dai princìpi con cui ci aveva sempre cresciuto. Stavo cambiando completamente». Iniziò allora dapprima a rubare motorini, poi a spacciare droga, quindi a compiere rapine. A quattordici anni se ne andò di casa, insieme al fratello. «Mio fratello fu un padre per me. Una delle prime volte che mia madre ci venne a trovare, scoprì una pistola che io e un mio amico avevamo nascosto nell’armadio: miracolosamente Federico riuscì a farle credere che fosse finta, e rotta per giunta. Ma quando lei se ne andò, lui era furioso: “Che ne sai, di che ci hanno fatto, con questa? Buttala immediatamente!”. […] Comincia il solitario viaggio alla ricerca di una mia identità. In qualche modo ero grato ai miei perché il significato esoterico della nostra triste vicenda era essermi ritrovato bambino faccia a faccia con la Libertà. Potevo davvero provare a diventare quello che ero veramente o chiunque volessi o immaginassi di essere. […] Mi ero iscritto a un liceo classico prestigioso di Roma, perché alle medie gli insegnanti dicevano che avevo talento per la letteratura. Ci andai i primi tre mesi, finché vissi con i miei. […] Passo quasi un anno in giro abituandomi alla strada, alla comitiva come punto di riferimento. […] A quel punto vivevo da solo con mio fratello, e tutti gli schemi erano saltati. Perché dovevo andare a scuola? […] La scuola, ce l’avevo in casa. Casa nostra era sempre piena di pischelli. Pazzi e creativi. Le tag sui muri e sul letto a castello, bombolette dappertutto mixate a montagne di piatti da lavare, musica e avanzi di cibo, suoni mai uditi, pischelle nude che si facevano dipingere, odore di marjuana e vernice nitro. Io stavo lì e imparavo. Ma, quando non mi andava, salutavo e mi chiudevo in camera a scrivere. Stavo creando insieme all’ambiente il mio carattere. Così me ne stavo al di là del bene e del male, senza morale, perché il mio Ego non incontrava alcun limite. […] Facevo tutto e solo quello che sentivo. Rubavo quel che mi serviva, pensieri e cose, senza fare distinzione. Poi una notte mi addormento, e come Alice mi risveglio nel paese delle meraviglie. […] Mi ritrovo per la prima volta a un rave. Un’iniziazione. […] Finisco in un bosco in mezzo a un sacco di gente folle, eccitata, sembra un baccanale intorno al relitto di una fabbrica. Un girone infernale, un mondo parallelo. Non era solo un’occasione per sfondarsi: era un rituale sciamanico, un modo di vivere alternativo. […] Io avevo 15-16 anni, e pensavo che la vita fosse quella. Era diventata la mia famiglia. […] Tornavo a casa strafatto, mi piaceva che mi guardassero non più come un bambino. Intanto contaminavo gli altri pischelli. […] In zona eravamo cresciuti con il mito del crimine, ascoltando le imprese dei ragazzi più grandi, scappati con le moto dai posti di blocco; storie di sopravvissuti che nel nostro immaginario diventano eroi, alla ricerca spasmodica del sesto senso: l’ecstasy. Le ragazze iniziavano a guardarmi in un altro modo, erano affascinate dalla mia incoscienza. Non penso che quello che dice la gente sia vero, che se uno prova una droga finisce a fare uso smodato di tutti gli stupefacenti. Ma per noi fu così». «Grazie al fratello maggiore, che all’epoca faceva parte del collettivo musicale del Quarto Blocco, Achille si avvicina al mondo del rap, riscuotendo fin da subito molti riconoscimenti e riuscendo a pubblicare, nel 2012 e nel 2013, i mixtape Barabba e Harvard. I temi principali dei suoi primi lavori sono ciò che ha vissuto sulla sua pelle e che conosce meglio: la vita difficile nei quartieri degradati di Roma e la droga, dallo spaccio al consumo. […] I suoni sono feroci e rabbiosi, come dice lo stesso autore “un grido d’aiuto”, per sottolineare la durezza delle sue storie. Dopo essere stato notato dalla scena romana, sotto l’ala di Noyz Narcos, la svolta finalmente arriva nel 2014 con l’entrata in Roccia Music, etichetta di Marracash e Shablo, che produrrà gli album Achille Idol immortale, Dio c’è (acronimo di Droga In Offerta Costi Economici) e l’ep Young Crazy. Nonostante i temi principali rimangano sempre la droga e la vita di strada, cambia il modo in cui vengono trattati e le sonorità: nel primo album infatti alla fine di ogni pezzo viene citato un vangelo immaginario per “paragrafi”, che raccolgono pensieri dell’artista per sentenze. […] Dio c’è si contraddistingue invece per una maggiore sperimentazione di suoni, trattando sempre in modo dissacrante e sfacciato temi come la droga, il passato dell’artista e anche la nuova vita dopo il successo. Nel 2016 Achille abbandona la Roccia Music per intraprendere una carriera indipendente, fondando la propria etichetta discografica con Dj Pitch8, la No Face, con cui pubblicherà Ragazzi madre e nel 2018 Pour l’amour. Il primo lavoro esprime il concetto di “ragazzi che si sono fatti da soli e che hanno imparato l’arte dell’arrangiarsi”. Lauro spiega, infatti, come sia dovuto essere, oltre che “madre” per se stesso, anche “madre” per chi ne aveva bisogno all’interno della comune dove è cresciuto. […] Pour l’amour invece, grandissimo successo estivo, è stato un album sperimentale […] con sonorità diversissime fra loro e mai sentite prima: troviamo musica techno, pop, indie, trap, ma quella che ha riscosso più successo di tutte è sicuramente la samba trap» (Cristina Ruberto). «È in questo disco che colleziona le prime hit che lo portano davvero ad un altro livello di popolarità: Purple Rain, Thoiry Remix, Penelope; tutti pezzi che su Spotify viaggiano regolarmente ben oltre il milione di ascolti. […] Come spiega lo stesso rapper, “Pour l’amour è stato ideato e realizzato con modalità abbastanza inusuali, abbiamo preso in affitto una villa e ci siamo recati lì in quindici, rimanendoci per due mesi. […] Avevamo una scorta di 10 chili di erba. Mi arrampicavo sugli alberi a piedi scalzi e mangiavo solo frutta. È stato difficile tornare alla vita normale”. […] Lauro continua dicendo che “io scrivo solo ed esclusivamente sotto l’effetto di stupefacenti. La droga è assolutamente fondamentale per la nostra creatività, oltre che per la nostra ispirazione musicale”» (Gabriele Fazio). Nel 2019, per volontà di Claudio Baglioni, ha partecipato al Festival di Sanremo, dove «ha ammaliato il pubblico con la sua Rolls Royce, brano che segna l’abbandono della samba trap, […] e che in fase di lavorazione ha visto il produttore e beatmaker Boss Doms – braccio destro di Lauro – dare spazio alla chitarra elettrica. Nel testo sono citati, tra gli altri, i Doors, Amy Winehouse, Marilyn Monroe, Jimi Hendrix, Elvis Presley, i Rolling Stones, e viene suggerita l’idea che la canzone sia un inno alla triade sesso-droga-rock’n’roll che ha caratterizzato l’esistenza delle suddette star. Ma sul finale una sorta di preghiera ribalta la prospettiva: “Dio, ti prego, salvaci da questi giorni, tieni da parte un posto e segnati questi nomi”. […] A dirla tutta, non è così strano che l’interprete di Rolls Royce abbia cambiato stile rispetto al passato. Da tempo sosteneva che il mercato della trap fosse saturo; da lì la samba trap. Da ancora più tempo ribadiva di essersi stufato del rap tout court e di non riconoscersi in molti cliché e atteggiamenti di quel mondo, compreso quello machista, da “gangsta”; ed ecco gli occhiali da donna sfoggiati in pubblico, le dichiarazioni al femminile. Del resto, nelle interviste concesse negli anni l’aspirante vincitore di Sanremo non ha mai mancato di precisare che per lui il rap non era che una chiave che aveva trovato per esprimersi, spinto anche dal fratello maggiore, musicista e produttore nella crew Quarto Blocco, ma di non avere modelli o idoli in quel mondo. […] Che poi Rolls Royce rimandi a Vita spericolata e ad altri brani, da Easy Easy di King Krule a 1979 degli Smashing Pumpkins, poco importa. L’accusa di plagio circolata in rete è superficiale» (Raffaella Oliva). Il cantante ribatté fermamente anche all’accusa, rivoltagli soprattutto dalla trasmissione Striscia la notizia e da don Antonio Mazzi, di voler con tale brano incitare al consumo di droga, alludendo in realtà alle Rolls Royce effigiate su alcune compresse di ecstasy: «Il pezzo è ispirato a grandi star mondiali e si riferisce alla citazione di Marilyn Monroe, non alle droghe. Il testo ha la forza della sintesi, sono piccole frasi brevi, e la frase “Rolls Royce, come Marilyn Monroe” significa che “se devo piangere, preferisco farlo su una Rolls Royce, piuttosto che nel vagone del metrò”. Voglio una vita così». Nel 2019 Lauro ha inoltre pubblicato, in gennaio, il libro Sono io Amleto (Rizzoli), sorta di autobiografia corredata di immagini e brani narrativi («Sono riuscito a uscire da un ambiente difficile e mi sono affermato con la musica. Il titolo ispirato a Shakespeare mi piaceva perché mostra come una tragedia possa diventare un successo»), e in aprile il nuovo album, 1969, «il disco più innovativo uscito negli ultimi tempi in Italia. Dieci canzoni che pescano dalle sonorità del passato e allo stesso tempo proiettano nel futuro. “Per la prima volta – dice l’artista romano – […] mi sento al posto giusto nel momento giusto. Nell’album ho riproposto le sonorità anni Sessanta e Settanta, ma in una chiave tutta mia. In quell’epoca c’era tanta voglia di cambiamento, ed è quello che sto inseguendo”. Sulla copertina dell’album […] campeggiano quattro icone: James Dean, Marilyn Monroe, Jimi Hendrix ed Elvis Presley. Miti che in un modo o nell’altro hanno ispirato il lavoro di Achille. 1969 (anno dello sbarco sulla Luna) è un viaggio a zig zag tra i generi, dal rock al punk fino al rap. Tracce più introspettive come C’est la vie, Roma e Scusa, si alternano alle potenti Je t’aime – duetto con Coez – e 1969 (brano che richiama alla mente Rino Gaetano). […] “Voglio parlare a tutti, un po’ come ha fatto Vasco. A Sanremo ho capito che questo sogno di comunicare a più generazioni era reale. Così, quattro ore dopo la fine del Festival mi sono chiuso in studio a lavorare”» (Alice Castagneri). Ancora, «in autunno uscirà nei cinema e in tv un docufilm, Achille Lauro No Face 1, “che parla del mio passato”, a cui seguiranno il 2 e il 3, che invece parleranno del presente e di un futuro possibile, ma surreale» (Luigi Bolognini) • «Perché hai rimandato la partenza del Rolls Royce Tour? “La partecipazione a Sanremo ha fatto uscire la nostra natura di outsider totali e ha avverato il mio sogno di essere visto come artista a 360°. Mi ha anche catapultato in un nuovo mondo sconosciuto, in cui non si parla più di rap. Sono un perfezionista, un maniaco, voglio che ogni cosa sia fatta bene. Non m’interessa fare il tour in coda a Sanremo per guadagnare di più. Questo nuovo mood, questa nuova anima che finalmente tutti vedono mi impone di fermare tutto e costruire uno show giusto, calibrato, imponente, perfetto, mai visto”. Prima di Sanremo hai detto che avevi due dischi quasi pronti. Se questo [1969 – ndr] è uno, l’altro com’è? “In realtà sto lavorando a vari progetti: ho un album completamente diverso da questo; ho un album che segue la linea di questo, anzi ne è un upgrade; e ho un album, che forse sarà il più apprezzato, in cui riprendo le mie canzoni e le trasformo. Una volta pescavo da altri, ora ripesco da me stesso”» (Claudio Todesco). «Adesso scompongo e ricompongo la musica. Dopo il rock’n’roll punk di Rolls Royce, sto scrivendo un album nel quale mescolo swing e blues e altri generi. Diciamo che vorrei andare oltre» (a Paolo Giordano) • Celibe. «Il mio porto sicuro è sempre stata la mamma. La pace è la famiglia. Non vedo l’ora di fare dieci figli: coi bambini in casa torna la magia» • «In passato con suo padre ci sono state tensioni, e a quattordici anni è andato via di casa. Tra voi oggi come va? “Ci siamo ritrovati. Sono cresciuto nella periferia romana, e in famiglia abbiamo avuto i nostri ‘cazzi’, è vero, ma io sono figlio di persone perbene, con una certa cultura. Non eravamo ricchi, ma neanche criminali, e ci tengo a precisarlo”» (Raffaella Serini) • Numerosi tatuaggi, anche sul volto. «Li ho fatti per distinguermi dagli altri, per fare qualcosa di forte. Ma a chi lo vuole fare dico di pensarci bene: non sono una scemenza, rischi di non trovare lavoro. Io li ho fatti quando ho capito di avere basi economiche solide: me li potevo permettere» (ad Andrea Laffranchi) • «Le droghe, le ha provate tutte: ce n’è una a cui è rimato “affezionato”? “La marijuana, ma solo ogni tanto. Ormai ho talmente tante cose per la testa che se mi faccio una canna vado in confusione. Il fumo va bene per chi è spensierato”» (Raffaella Serini) • Spesso «parla col plurale maiestatis, manco fosse il Divino Otelma. In realtà, lo fa perché lui è solo la punta dell’iceberg: il successo e il progetto sono stati costruiti con il lavoro di tanti, primo fra tutti il suo produttore storico e miglior amico Boss Doms» (Gaspare Baglio). «Boss Doms dice che la vostra è un’arte stronza. “Siamo il cantante e il chitarrista meno talentuosi d’Italia. Abbiamo rispetto di chi studia e conosce la musica, ma da soli abbiamo creato qualcosa di figo e imperfetto”. Ecco, imperfetto. La tua dizione è sporca, il tuo canto ha qualcosa di volgare. “La mia voce è una chitarra scordata, ma l’imperfezione è un punto di forza. Potrei citare Lucio Battisti o Rino Gaetano, a cui sarebbe presuntuoso paragonarsi: pur non avendo voci perfette, riuscivano a trovare la giusta chiave emotiva. Prima della perfezione viene la comunicazione”» (Todesco) • «Achille Lauro è la cosa più vicina alla rockstar che abbiamo oggi in Italia» (Matteo Zampollo). «È una rockstar piena, i cui effetti sulla scena nazionale saranno destabilizzanti, a dispetto dell’intorpidimento che ha catturato il nevrotico panorama trap» (Stefano Pistolini). «Noi siamo cresciuti ascoltando musicisti drogati, ascoltando musicisti ai quali la droga ha deviato l’esistenza, quindi lungi da noi scandalizzarci per due canne; solo che quei musicisti poi producevano Light My Fire, Foxey Lady, Me and Bobby McGee, Come as You Are, Can’t Help Falling in Love, Sympathy for the Devil, God Save the Queen o No Woman, No Cry; nessuno di loro veniva fuori dopo due mesi di chiusa artistica con il testo di Mamacita. Questo loro scimmiottare rockstar con le quali non hanno in comune nemmeno l’unghia del mignolo sinistro svuota di significato, in maniera anche, sì, diciamolo, pericolosa, il mito del musicista bohémien, che con lo stordimento cerca altro da sé. I Beatles nel ’69 si recano in India per frequentare un corso di meditazione trascendentale presso l’ashram indiano di Maharishi Mahesh Yogi: resteranno strafatti praticamente per settimane, ma quando tornano in Inghilterra incidono The Beatles; Achille Lauro da quelle parti ci è andato giusto per girare le puntate di un reality della Rai, così per dire. Ci fanno sentire bigotti come persone che non vogliono accettare il nuovo: anche questo è offensivo oltre che falso. Non tutto ciò che è nuovo deve per forza avere valore in quanto nuovo» (Fazio) • «I suoi riferimenti, dal punto di vista dell’attitudine, sono Vasco Rossi, Jim Morrison, Kurt Cobain. Parole sue. E David Bowie in quel gusto per il glam che rivela il suo look. La sensazione è che nella testa abbia un’ambizione ben chiara: essere diverso, distinguersi, andare in direzione opposta a quella dettata dalle mode, incluse quelle lanciate da lui stesso (e qui Bowie insegna). Ma anche conquistare un pubblico vastissimo ed eterogeneo. “La mia musica non è solo per ragazzini”, ha affermato Lauro. E ancora: “Voglio riempire San Siro e l’Olimpico”» (Oliva) • «Non sei un trapper, non sei un rapper, dici di essere stata una troia e una santa. Ma chi sei? “Artista. Folle. Fuori controllo. Questo è Achille Lauro. La mia musica non è etichettabile in un genere e basta. È musica di Achille Lauro. Punto. Facciamo quello che ci piace, facendoci ispirare da tutte le epoche: prendiamo i generi e ci mettiamo del nostro, li svecchiamo, li modifichiamo. Le persone si evolvono, cambiano, vanno avanti, sperimentano. Questo è Achille Lauro: in fondo, un pittore che non vuole dipingere lo stesso quadro tutta la vita”. Non giochi solo con i generi musicali, ma pure con quelli sessuali. Senti di essere un po’ il simbolo della libertà sessuale per le nuove generazioni? “Assolutamente sì. Questa cosa è stata fatta anche per allontanarci dal mondo del rap”» (Baglio). «La donna è eleganza, è qualcosa di puro. Il mondo andrebbe avanti anche senza uomini. Le donne muovono il mondo, comanderanno il mondo. Mi sono allontanato da un ambiente maschilista e culturalmente povero, quello delle periferie. Era l’esempio di come non volevo diventare. A casa mia, invece, avevo l’esempio del Bene fatto donna» • «La nostra dimensione non è né il rap né la trap, ma del cantautorato fatto a modo nostro». «Io sono cresciuto completamente da solo da quando avevo quattordici anni. Questa esperienza, per quanto sia stata dura, alla fine della fiera mi ha permesso di raccontare diverse cose in un certo modo, di esprimere una vena malinconica nelle canzoni: questa "attitudine" si è trasformata in arte. La sofferenza può avere riscontri positivi: basta saperla indirizzare». «Da una parte, sono un operaio che ha lavorato giorno e notte per creare il suo successo, credendo in quel che faceva, dall’altra sono stato fortunato. Bisogna gettarsi, rischiare, anche fallire. Non mi sento un esempio, spero però che la mia storia rappresenti un buon consiglio per i ragazzi. Le scorciatoie non portano da nessuna parte. Insistendo a sbattere la testa contro il muro, uno il buco prima o poi lo fa. […] Sono una persona malinconica che ha la fortuna di poter mettere quel che prova su un foglio e quindi farne tesoro. Scrivendo, uno si conosce: è autoterapia, acchiappare i pensieri e trascriverli diventa più facile. […] Nella disperazione c’è poesia. La vita è una tragica poesia dentro cui siamo tutti. Grazie alla musica, riesco a vedere questa disperazione come un bicchiere mezzo pieno. Nella vita che passa c’è qualcosa di poetico, di assurdo, di incontrollabile dall’essere umano». «Dormo due ore a notte da quattro anni. Il mio sogno l’ho rincorso, anzi, l’ho proprio trascinato. Sono stato la montagna che va a Maometto. Se avessi studiato con questa determinazione, con questa patologia – perché è follia: sono maniacale – sarei riuscito a fare qualunque cosa, come costruire un palazzo con le mani».