la Repubblica, 10 luglio 2019
L’autonomia e la scuola
ROMA – Quattordici pagine che cambieranno la scuola italiana, così come l’abbiamo conosciuta dal Dopoguerra. Su queste si sta litigando nel governo: sono le “intese” tra Stato e (tre) Regioni, perfezionate lo scorso 15 maggio e tenute nascoste prima delle Europee. L’autonomia differenziata è andata avanti, dal primo testo di febbraio. Molto avanti. In particolare, il capitolo sulla scuola. Le intese del Veneto di Luca Zaia e della Lombardia di Attilio Fontana con il premier Giuseppe Conte toccano rispettivamente 23 e 20 punti e in entrambi i casi i commi due, tre e nove sono dedicati all’istruzione (e alla formazione professionale, al diritto allo studio universitario e alla ricerca scientifica). Bene, da pagina 13 a pagina 19 si dettagliano – con un impatto sul resto dell’istruzione italiana esplosivo – le 36 competenze scolastiche che passano dallo Stato alle due Regioni (l’Emilia Romagna chiede autonomia solo sulla formazione professionale). Secondo la nuova intesa, si attribuisce alla Regione interessata «potestà legislativa in materia di norme generali sull’istruzione» (citando l’articolo 117 della Costituzione, architrave dell’accordo). Il Veneto, per esempio, potrà riorganizzare «il sistema educativo regionale» anche in relazione al «contesto sociale ed economico». Potrà intervenire, quindi, sulla valutazione scolastica «introducendo ulteriori indicatori legati al territorio». Potrà nascere una “pagella regionale” con materie ispirate «dal contesto». Nei professionali del Bellunese ci potranno essere, per esempio, discipline legate all’industria dell’occhiale. Nel nuovo assetto sarà l’ente locale a decidere della formazione dei docenti e delle spese relative. Nelle due Regioni, un naturale rapporto istruzione-lavoro, sarà “il territorio” a definire i percorsi di apprendistato, la qualità dei Centri per l’istruzione degli adulti e il destino degli Istituti tecnici superiori (Its), una realtà che già oggi garantisce piena occupazione. Resta nei poteri dello Stato l’Alternanza scuola lavoro. Ci sono ancora zone d’ombra sul capitolo più importante: il trasferimento dei dipendenti della scuola. Tutti i lavoratori dell’Ufficio scolastico regionale e degli Uffici d’ambito passano dal ministero alla Regione (se sono d’accordo), così i presidi, «che potranno optare per lo stipendio favorevole». Dovranno restare nel nuovo assetto amministrativo – “dipendenti regionali” – almeno tre anni. Nelle bozze di maggio c’è, invece, una retromarcia su docenti, personale amministrativo ed educatori: «Restano nei ruoli statali, salva diversa volontà espressa». La formula ambigua serve per calmare il sindacato ed è al centro di riunioni accese (l’ultima al Miur, ieri sera). Per i precari nascono le graduatorie locali. Si applicherà il ruolo regionale anche agli insegnanti non abilitati di Terza fascia (toccati da un recente accordo-sanatoria tra sindacati e ministro). Il trasferimento dei docenti veneti verso altre Regioni «sarà consentito». Sul fronte stipendi lo strumento che garantirà gli aumenti ( 150-200 euro ai docenti che entreranno nel libro paga della Regione) saranno i “contratti integrativi regionali”. Varranno anche per presidi, dirigenti amministrativi e bidelli. E sarà il Veneto – che da sempre lamenta i troppi precari nelle sue scuole e i troppi trasferimenti di insegnanti dal Sud – a definire il «fabbisogno regionale di personale» e a distribuirlo. Sotto l’egida regionale passerebbero anche le scuole paritarie. Con gli ultimi 5 mesi di lavoro da parte della ministra degli Affari regionali, Erika Stefani, le due Regioni del Nord hanno chiesto potere completo sulle borse di studio universitarie e le residenze per studenti: già in mano alle Regioni, potranno integrarle con incentivi e servizi. Passa all’amministrazione locale la ricerca scientifica e tecnologica «a sostegno dell’innovazione per i settori produttivi». Veneto e Lombardia faranno propria l’edilizia scolastica. Non ci sono novità, per ora, sui concorsi (già su base regionale). Il segretario della Cgil scuola (Flc), Giuseppe Sinopoli: «Il 24 aprile, con il premier, abbiamo firmato altro. Alziamo le barricate».