ItaliaOggi, 9 luglio 2019
Morto il produttore Atze Brauner
Avrebbe compiuto 101 anni il primo agosto Artur Brauner, il produttore che creò il cinema tedesco nel dopoguerra, scomparso domenica. «Devo tutto al fiasco del mio primo film», raccontava con ironia. Girò Morituri nel 1948, in una Berlino ancora in macerie, un capolavoro, ma incassò poco, come era prevedibile. Grazie all’aiuto di amici, riuscì a finanziare la pellicola, la storia di un gruppo di ebrei che grazie all’aiuto di un medico polacco riesce a fuggire da Auschwitz, una storia che il pubblico a quel tempo non aveva voglia di vedere, in Germania e in Europa, il primo film sulla Shoah. Ma Brauner, ebreo polacco, continuò a produrre film «sulla mia gente», diceva, sempre di relativo successo commerciale, come 20 Juli sull’attentato fallito a Hitler, Hitlerjunge Salomon e Der letzte Zug, l’ultimo treno, del 2006, in tutto 21 opere che sono conservate a Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme.Se Morituri fosse stato un successo, Brauner sarebbe emigrato negli Stati Uniti, ma Hollywood non desiderò accogliere un polacco, emigrato a Mosca, probabilmente un comunista. E la sua vita cambiò. «Con la sua morte finisce un capitolo della storia culturale tedesca», ha commentato Stern, nell’edizione online. Non mi sembra che i quotidiani italiani, ieri, lo abbiano ricordato, sia pure con una breve notizia.
Era nato in Polonia a Lodz, come Abraham Brauner, nel 1918, quasi alla fine della Grande Guerra. Una famiglia benestante, suo padre era un commerciante di legname all’ingrosso. «I miei genitori erano liberali, e non ostacolarono la mia passione, fin da bambino uscito da scuola andavo al cinema, alla prima proiezione, tutti i giorni. Alla domenica vedevo due film. Mi piacevano le storie di cowboy, non quelle d’amore, che da bambino poi non avrei capito».
Brauner aveva festeggiato i 21 anni da un mese quando i nazisti invasero la Polonia, riuscì a mettersi in salvo a Mosca. Molti suoi parenti morirono a Auschwitz. Caduto il III Reich, i genitori e tre fratelli emigrarono in Israele, lui andò a Berlino che era stata la capitale del cinema europeo, soprattutto grazie a attori e registi ebrei, come Billy Wilder. Una tappa, e invece vi rimase per sempre. Fondò la sua società, la Central Cinema Company, la Ccc, e nel ’58, a quarant’anni, produsse ben 17 pellicole. Der Spiegel dedicò la copertina al geniale produttore che salvava gli incassi del cinema tedesco, e riusciva a far dimenticare agli spettatori il recente passato. «Creò il suo impero grazie a filmetti musicali con Caterina Valente, e storielle rosa con Maria Shell, e una giovanissima Romy Schneider, pellicole che riempivano i cinema. Ma Artur Brauner, chiamato Atze dagli amici, continuava a produrre le «sue storie». I suoi film venivano vietati nel suo paese, in Polonia, e il servizio segreto polacco continuò a spiarlo a Berlino, fino alla caduta del Muro. La prima nota nel suo dossier a Varsavia porta la data del 1948, l’ultima del 1989.
«Un film», ricordava «può essere un’opera d’arte e un fallimento, oppure avviene il contrario, una pellicola mediocre incassa milioni. Basta saperlo». Il suo grande rammarico fu l’unico film che non riuscì a produrre, la storia di Oskar Schindler. Si poteva girare in Germania la storia di un tedesco «buono»? Ma per Atze era la prova che era possibile opporsi ai nazisti. Anni dopo fu realizzata da Steven Spielberg, e divenne un successo mondiale. «Ma che importa?, sono felice per Spielberg» commentava «quel che conta è che il mondo non dimentichi».