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 2019  luglio 09 Martedì calendario

Il mistero della Natività di Caravaggio

Era una notte piovosa d’inizio autunno. Una di quelle notti in cui uscivano solo medici, preti e tiratardi. O ladri. Un camioncino, probabilmente un apecar, si fermò davanti a questa finestra di via dell’Immacolatella, nel quartiere della Kalsa. Non c’era solo una persona a bordo: erano una banda. Avevano con sé una scala, tutto ciò che occorreva per uno scasso e soprattutto lame affilate per tagliare via una tela dal suo telaio. Una grandiosa tela di due metri per tre. La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco del Caravaggio fu rubata nell’oratorio di San Lorenzo di Palermo la notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969, cinquant’anni fa. Nell’anno dello sbarco sulla luna l’Italia perse uno dei massimo tesori del suo genio del chiaroscuro. Il magnifico quadro che ora si vede di fronte all’ingresso dell’oratorio, posto sopra l’altare, è una copia prodotta da un laboratorio specializzato di Madrid. Lo circondano candidi fregi che paiono marmo e che invece sono stuccati, opera di uno dei più grandi maestri del tardo barocco, Giacomo Serpotta.
L’angelo bagnato di luce che incide la tela dall’alto al basso come un raggio divino, la Madonna popolana con il viso inondato dallo stesso splendore, le figure maschili che li affiancano, delineati in un’ alternanza instancabile di ombra e chiarore: il capolavoro potrebbe essere custodito in casa di qualche collezionista in tutta la sua grandezza, o diviso a pezzi. È la sconfitta ma nello stesso tempo la grande sfida degli investigatori dell’arte. 
A distanza di mezzo secolo La Natività continua a essere ricercata come un superlatitante. Si tratta di un quadro e non di un criminale, ma un quadro dietro cui si muovono mafia e bugie, depistaggi e un fiume di contraddizioni. Il caso Caravaggio è insomma il Caso investigativo della cultura italiana, tanto più che gli anniversari sono spesso un’occasione di stimolo e di visibilità. È una storia italiana ma anche internazionale: la tela rubata è al secondo posto nella Top Ten Art Crimes, la lista dei più gravi furti d’arte al mondo stilata dall’Fbi. «È il più grande ricercato, il Matteo Messina denaro dell’arte italiana», conferma il generale Roberto Riccardi, che da settembre prenderà la guida del Comando per la tutela del patrimonio culturale dei carabinieri, e che sta girando l’Italia con il suo libro «Detective dell’arte» (Rizzoli) per dare valore ai cacciatori di bellezza, i 300 Monuments men divisi in 15 nuclei sul territorio impegnati a cercare capolavori trafugati. 
RICERCATO SPECIALE
Se la prima mano fu di piccoli criminali, è certo che il quadro sia passato da Cosa Nostra, intervenuta in un secondo tempo, appena venuta a conoscenza del valore del furto. Cinquant’anni di dichiarazioni dei pentiti, piombate in questa e in altre inchieste di mafia come fuochi d’artificio, hanno eletto la Natività a reliquia da esporre durante le riunioni di alto vertice, regalo per Andreotti, partita di scambio nella trattativa Stato-mafia, cena per topi perché abbandonata in una stalla. Le ultime tesi ufficiali le ha scritte la commissione parlamentare antimafia, che ha acquisito decenni di indagini e riascoltato alcuni dei collaboratori di giustizia registrando le loro auto-smentite: è certa la gestione del Caravaggio da parte della mafia; il passaggio a un intermediario svizzero; può essere probabile la scomposizione della tela in più parti. C’è infine la speranza concreta che il quadro, come hanno ipotizzato alcune piste d’indagine, non sia andato distrutto o bruciato. Potrebbe essere stato frazionato. 
«Nel mercato dell’arte – valuta Riccardi – esiste anche questo, per rendere un’opera non riconoscibile e quindi più facilmente smerciabile». Ma non è esclusa addirittura anche l’evenienza che la tela sia integra. Quali sono le possibilità di trovare La Natività? «In passato ho lavorato sui latitanti. Non si può promettere nulla. Bisogna cercarli tutti, ma finché non ce li hai in casa il grado di probabilità è uguale per tutti. Le dichiarazioni portano a un ventaglio di ipotesi, tutte possibili, purtroppo alcune anche tristi. Certo il tempo non aiuta». Uno dei più grandi colpi messi a segno dal Tpc dei carabinieri fu il recupero della Muta di Raffaello, rubata a Urbino nel ’75 insieme a due opere di Piero della Francesca e trovata a Locarno appena un anno dopo. 
IL COLPO
Entrarono dunque da questa porta-finestra di legno che affianca l’ingresso dal giardino dell’oratorio i ladri che si portarono via il Caravaggio in una notte pesta di ottobre, quasi strappandolo con le lamette da barba, senza tanti riguardi: indizio di una manovalanza criminale che sapeva cosa rubare ma non riconosceva la bellezza. 
Il telaio è conservato nella sagrestia: la trovarono a terra le sorelle Guelfo, le custodi del locale che da giorni, complice anche il brutto tempo, non aprivano la porta dell’oratorio. La proprietà dell’edificio fino agli anni Cinquanta era di una compagnia di mercanti, quando il locale rivestiva il ruolo di aula assembleare per le riunioni, e le panche poste sui lati ne sono testimonianza. Dalla metà del secolo scorso passò alla Curia. La data di esecuzione della tela potrebbe essere il 1609, durante il breve soggiorno di Michelangelo Merisi Palermo. Ora l’oratorio è gestito dall’associazione Amici dei musei di Palermo.
Il telaio di legno desolato come un crocefisso vuoto racconta l’assurdità di un furto di valore incalcolabile (la stima è di 30 milioni di euro) e che doveva essere evitato dallo Stato, come denunciò tra i primi sul «Corriere della Sera» da Leonardo Sciascia, che ne fece anche materiale narrativo per un romanzo breve, «Una storia semplice». L’oratorio di via dell’Immacolatella era incustodito quella notte. Le strade del centro di Palermo erano probabilmente deserte. 
Si continua a indagare, l’inchiesta è sempre aperta, «la ricerca di un’opera come questa non può interrompersi mai». Indaga anche il Vaticano, parte lesa in quanto il quadro, prima del suo furto, era di proprietà della Curia di Palermo. In prima fila agiscono i carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale, ma nel silenzio stanno cercando in tanti, e di recente un investigatore privato olandese, Arthur Brand, ha dichiarato che la Natività si troverebbe proprio in Sicilia: la ricca famiglia che custodisce il capolavoro, non legata alla mafia, avrebbe paura di uscire allo scoperto. Lo 007 si è proposto come tramite tra la famiglia e i carabinieri. Particolare non di poco conto: il quadro sarebbe integro. È l’ultima clamorosa pista di una storia forse semplice, per dirla alla Sciascia.
LA MANO DELLA MALA
Una delle novità portate dalla commissione parlamentare antimafia nel suo lavoro è la ritrattazione del pentito Francesco Marino Mannoia. Fu lui a giurare a Falcone di aver distrutto il Caravaggio. Di recente, davanti a deputati e senatori, pur confermando che il quadro era «come squamato, diciamo che c’erano un po’ di calcinacci intorno», ha dichiarato che non andò bruciato: «Siccome ero stressato dalle situazioni Avevano ammazzato i miei familiari Con Falcone notte e giorno Si è presentato un’altra personalità, un colonnello E gli ho detto: l’ho bruciato io personalmente. Per non essere più disturbato». 
È stata poi valutata come abbastanza solida la testimonianza di Gaetano Grado, del mandamento di Santa Maria del Gesù-Villagrazia, latitante all’epoca del furto. Fu Gaetano Badalamenti, ha dichiarato Grado alla commissione antimafia, a chiedergli di recuperare il quadro, che vide «un po’ sfilacciati ai lati». Un trafficante di opere d’arte di origini svizzere sarebbe andato a visionarlo nella villa di Badalamenti a Cinisi e, osservandolo, «non faceva altro che piangere». Sarebbe stato lo svizzero a spiegare che La Natività sarebbe stata smerciabile solo se tagliata in blocchi. 
La mafia ha avuto spesso un ruolo di primo piano nei furti d’arte in Sicilia. Nell’area di Selinunte, il più grande parco archeologico dEuropa, operava il padre di Matteo Messina Denaro e la primula rossa di Cosa Nostra aveva intenzione «di rubare il satiro danzante» nel vicino museo di Castelvetrano.
La regione è un museo a cielo aperto. In molti siti incustoditi imperversano i tombaroli. Un anno fa l’operazione Demetra del nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale di Palermo ha portato al recupero di 20mila reperti archeologici.