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 2019  luglio 09 Martedì calendario

Pochi soldi per salvare Notre Dame

Un miliardo di euro o poco meno. La gara tra i facoltosi francesi a chi donasse di più per Notre Dame aveva perfino messo il problema economico della sua ricostruzione in secondo piano. «I soldi ci sono», disse Macron, «ora ci serve il tempo». Tutto l’orgoglio francese si era espresso in quella cifra enorme raccolta in poche ore, una grandeur che fuori dai confini, ma anche dentro, anziché infondere ammirazione aveva perfino scatenato un’altra gara, a chi facesse mostra della peggior ipocrisia. Il discorso più gettonato era quello relativo ai migranti, «si raccoglie un miliardo in poche ore per una chiesa e non ci sono soldi per chi scappa da una guerra». Ma c’è anche chi il ragionamento lo ha applicato al clima, o ai problemi economici del popolo francese in genere. I musulmani si sono risentiti perché per l’antica moschea di Aleppo (che gli stessi islamici hanno devastato…) nessun francese ha donato un euro. Ma come spesso accade la grandeur transalpina nasconde piccinerie degne di una commedia di Molière, e l’altrettanto proverbiale “radinerie”, l’avarizia, pare abbia preso il sopravvento. Di quel miliardo, anzi il ministro della Cultura Frank Riester l’aveva poi subito ridimensionato a 850 milioni, a tre mesi dall’incendio sono arrivati solo 38 milioni.
CHIACCHIERONISecondo l’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit si tratta del dieci per cento della somma aspettata, annuncio che ridimensiona ulteriormente il miliardo originario. Lo stesso Riester qualche giorno fa parlava di un dieci per cento risicato ricevuto, e aveva ammesso che fin dall’inizio era stato un errore parlare di «eccesso di donazioni». Ma per l’arcivescovo di Parigi non è un problema, quei soldi arriveranno dice, quanti è ancora un mistero, ma è solo questione di tempo, quello che ci vuole «per la stipula della necessaria – estremamente rigorosa – convenzione». Secondo le notizie uscite a caldo, quando appunto ancora il tetto della cattedrale stava bruciando, il numero uno dei donatori dovrebbe essere Bernard Arnault e la sua Lvmh, uomo più ricco di Francia il cui patrimonio è valutato il 102 miliardi di euro, il quale ha promesso per la ricostruzione 200 milioni. Stessa cifra l’avrebbe buttata lì L’Oréal (di proprietà della famiglia Bettencourt), mentre la Total annunciava 100 milioni. E poi via via tutti gli altri, JCDecaux, la famiglia Bouygues, la fondazione Crédit Agricole... Troppa grazia Sant’Antonio, visto che sempre a caldo Michel Picaud, presidente della associazione “Friends of Notre-Dame de Paris”, disse che per il restauro sarebbero stati sufficienti 150 milioni di euro. E anche se poi a freddo altri esperti hanno valutato una cifra che è circa il doppio di quella azzardata da Picaud, con quello che in teoria è stato raccolto di soldi ne avanzerebbero anche per assecondare la megalomania di Macron, il quale con progetti fuori dal mondo vorrebbe fare di Notre Dame il monumento a se stesso.
SCONTI FISCALIMa 38 milioni non bastano neanche per mettere l’impalcatura attorno alla chiesa. Solo per i primi lavori di parziale ripulitura e per mettere in sicurezza (dalla pioggia) l’interno sono già stati spesi 4 milioni, attinti dalla cassa dell’associazione di Picaud. Nell’attesa, vale la pena però sottolineare che la generosità dei grandi donatori si trasformerà, per gli stessi, in un’agevolazione fiscale che va dal 66 al 75%, a seconda che si tratti di una persona fisica o di una società. In altre parole, dei 200 milioni di euro promessi da Arnault, se mai li verserà, solo una piccola parte sarà effettivamente a suo carico, mentre il resto sarà compensato dalla riduzione della sua imposizione fiscale. Il che in termini di benefici per la causa non cambia molto, ma non si parli di generosità, perché quella non richiede alcuna ricompensa fiscale in cambio.