Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  luglio 09 Martedì calendario

Pd in bolletta per i morosi

Il 19 giugno, accanto al nome Lotti Luca, sul documento che riporta i versamenti al Pd dal primo gennaio 2019, appare la cifra “750”. Ovvero, la metà dei 1500 euro dovuti mensilmente da ciascun parlamentare al partito (che si vanno a sommare a quelli dovuti ai territori, variabili da Regione a Regione). Perché? Dal suo staff fanno sapere che dipende dal fatto che è “autosospeso”.
Come ogni anno, di questi tempi, con la chiusura del bilancio, al Nazareno scoppia il caso “morosi”. Resta agli annali la vera e propria fatwa lanciata dall’ex tesoriere, Francesco Bonifazi, contro Pietro Grasso “reo” di dovere al partito 83mila euro.
L’ultimo bilancio del Partito democratico, quello relativo all’esercizio 2018, si chiude con un passivo di 600.495 euro. Undici milioni e 819.729 euro è l’ammontare delle spese. Le voci principali di spesa sono quelle relative alle campagne elettorali (2.693.696 euro) e i costi per il personale dipendente (4.690.738 euro). Ma, come spiega il tesoriere Luigi Zanda nella sua relazione, “i crediti vantati dal Nazareno nei confronti dei parlamentari ammontano a 822.542 euro, non ancora incassati alla data di chiusura dell’esercizio 2018 e per molti dei quali è stata promossa relativa azione di recupero”.
Interpellato dal Fatto, Zanda risponde così: “Io ho un cuore e non intendo additare alla pubblica gogna queste persone. Non ci sono big e la maggior parte di loro si sta rimettendo in pari”. In realtà, il file con i versamenti dei primi 6 mesi, semina il panico nel Pd. Pure se lo stesso tesoriere ci tiene a precisare: “Sono dati parziali, che non vanno presi come ultimativi. Anche perché alcuni parlamentari si fanno fare parte del versamento dai loro mandatari elettorali, che non risultano in quell’elenco”.
Qualche versamento esorbitante nasconde qualche altarino del partito, però. È per esempio il caso di Tommaso Nannicini, che ha dato in una sola volta, lo scorso 3 giugno, 10.500 euro. Lui la spiega così: “Sì è vero, non avevo pagato per mesi, perché era l’unico modo che avevo per fare pressione sul Pd: non stavano pagando una start-up di analisi dati della politica, la Entrepreneurship, che ci aveva dato una mano per il forum della campagna di ascolto che avevamo lanciato. Quando l’hanno pagata, ho saldato i miei debiti”. 5000 euro tutti insieme li ha versati anche Andrea Orlando, vice segretario dem, a marzo. “Ero in ritardo di due pagamenti – dice lui – perché l’anno scorso mi erano saltati due bonifici automatici”. E poi c’è chi, come la deputata Maria Chiara Gribaudo, ammette: “Ero indietro, ma mi sono messa a posto con il versamento di 15mila euro”. Difficile ricostruire la lista finale dei morosi solo con i dati nazionali. Anche perché, per esempio, molti non sono deducibili dal file reso pubblico in nome della trasparenza. Per Luciano Nobili, capo corrente della minoranza renziana più ultrà che c’è con Roberto Giachetti e Anna Ascani, risulta un unico versamento di 4500 euro il 30 aprile. Ma lui assicura: “Ho versato i 1500 euro tutti i mesi, fino a giugno 2019 compreso. Ho tutti i bonifici”. Poi, però ammette: “Ho un pregresso, credo, sul contributo per la candidatura: ero in cassa integrazione quando mi hanno candidato”. Sì, perché il partito chiede una cifra variabile (a seconda dei territori) di circa 30mila euro.
Mentre il partito è in bolletta, le varie correnti organizzano le loro riunioni, pagandole con l’autofinanziamento. È stato così per la minoranza di Giachetti, che qualche settimana fa si è riunita ad Assisi. È stato così per Base riformista, quella di Luca Lotti, fresca di mini convention a Montecatini. “Certo, tra i morosi c’è anche qualcuno di Br”, dice Zanda, sempre però abbottonatissimo sui nomi.
Insomma, mentre il Pd è in bolletta, alcuni parlamentari preferiscono finanziare la loro corrente piuttosto che rimpinguare le casse del partito. Spiegano dall’organizzazione di Montecatini che la tre giorni dello scorso week-end è costata 18mila euro, tra affitto della sala del convegno, allestimento, service, ospitalità per i relatori. Che però ancora non sono stati saldati: Br si sta costituendo in associazione e non ha ancora un Iban. Quindi, per adesso, sono state fornite delle caparre. Poi, l’autofinanziamento diventerà normale. Nel frattempo, i partecipanti si sono pagati vitto e alloggio da soli.