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 2019  luglio 09 Martedì calendario

Il contratto che dà ragione ad ArcelorMittal

Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Punto per punto. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.
Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L’accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l’articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.
«Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».
Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l’asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.
Ma c’è dell’altro. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».
Anche questo passaggio sgombra dal campo ogni equivoco: qualora cambiasse il piano ambientale, con la conseguente ricalibratura dell’attività economica e dunque con la revisione del punto di pareggio operativo nell’acciaieria, di nuovo Arcelor Mittal potrebbe restituire le chiavi. Il contratto è stato firmato quando a Palazzo Chigi c’era Paolo Gentiloni e al ministero dello Sviluppo economico c’era Carlo Calenda. L’accordo di modifica è del 14 settembre 2018, quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte e al ministero dello Sviluppo economico c’era Luigi Di Maio, entrambi ancora in carica. E, peraltro, è l’accordo di metà settembre 2018 a specificare in maniera certosina punto per punto. È con quel documento che Arcelor Mittal blinda la sua posizione.
Il problema è quello che è successo dopo il settembre del 2018. L’attuale Governo ha cancellato – lacerato dallo scontro fra i Cinque Stelle, da sempre favorevoli alla chiusura dell’impianto, e la Lega, contraria alla chiusura – la non punibilità. Adesso, dopo averlo fatto, sta discutendo con ArcelorMittal su come fare a rendere comunque praticabili i lavori ambientali, senza che la loro realizzazione provochi l’imputazione all’impresa e al suo management di problemi causati da altri, in passato. Il Governo, prima di cancellare lo scudo giuridico, ha più volte detto che la non punibilità non c’è. A meno che, dopo il 14 settembre 2018, non vi siano stati ulteriori aggiornamenti rispetto ai documenti consultati dal Sole 24 Ore, l’accordo di modifica del contratto dice un’altra cosa. Peraltro, su tutta la vicenda pende un giudizio di costituzionalità o meno da parte della Consulta, che dovrebbe arrivare ad ottobre. Inoltre, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa sta lavorando alla restrizione dell’Aia. Più prescrizioni significano più investimenti. Più prescrizioni potrebbero significare un livello produttivo più basso rispetto a quello preventivato. Con il rischio di non trovare mai la sostenibilità economica dell’acciaieria. 
Se questa modifica del contratto fosse l’ultima, si spiegherebbe la “tranquillità” manifestata in questi giorni dal gruppo siderurgico: se le cose stessero così, non solo il prossimo 6 settembre – giorno in cui decade lo “scudo giuridico” – ma anche il giorno in cui dovesse passare una versione più hard del piano ambientale, ArcelorMittal se ne potrebbe andare da Taranto e avrebbe probabilmente le carte in mano per attivare una non piccola causa per danni verso lo Stato italiano.