Il prossimo anno avrebbero festeggiato le nozze d’oro e per 49 anni sono stati una l’ombra dell’altro. «Se cercavi mamma, la trovavi sempre a due passi da papà — dice il figlio — vivevano insieme da così tanto tempo che erano diventati quasi una sola persona, sono una di quelle coppie che la mia generazione invidia e che oggi sono difficili da trovare ». Da quando si erano sposati vivevano a Rivoli, nel Torinese, al secondo piano di una casetta di via Collegno intonacata di giallo con le tende bianche e marroni fissate sui balconi. «Io sono cresciuto qui», ricorda Luigi.
Genoveffa Morelli, nata a Terranova di Sibari aveva mantenuto questo nome più che altro sulla carta d’identità e l’aveva sentito pronunciare da suo marito Alfredo soltanto il giorno del matrimonio, perché per tutti a Rivoli era soltanto Gina e se uscivano in coppia, Gina e Alfredo, erano "i Carbone" come se fossero una persona sola.
«Si sono sposati dopo appena otto mesi che si erano conosciuti, se non è amore a prima vista questo», racconta ancora Luigi. «Si erano incontrati da ragazzi qui al Nord», dice rimarcando le origini dei suoi genitori, emigrati da adolescenti. Alfredo era nato a Montemiletto, in provincia di Avellino ma era arrivato a Rivoli quando aveva 13 anni. «Lui e mamma si erano conosciuti ai tempi in cui faceva il garzone e consegnava il vino», ricorda il figlio. Poi Alfredo aveva fatto tante altre cose, era diventato un artigiano in falegnameria e per anni ha lavorato come netturbino. «Mamma io me la ricordo a casa, ma da giovane aveva lavorato anche lei, poi però aveva fatto la mamma a tempo pieno», dice Luigi. Lui e il padre avevano costruito un rapporto condito dalla passione per il calcio, il primo come dirigente della polisportiva Pro Collegno, il secondo come tuttofare. «Alfredo era indispensabile, sempre impegnato a fare qualcosa», raccontano dalla società. E spesso con lui c’era anche Gina che, se le giornate non erano troppo afose, lo seguiva al campo della polisportiva. Per lui quella società era lo svago principale. «Erano le sue vacanze, veniva alla polisportiva tutte le volte che poteva». E Gina accettava di sedersi sugli spalti, d’estate, invece che nel dehors di un bar della Liguria con tanti pensionati torinesi.
Si sono amati dal primo all’ultimo giorno tenendo fede alle promesse che si erano fatti 49 anni fa. «L’altra sera mamma ha chiamato l’ambulanza, poi mi ha telefonato. Ho capito subito che la situazione era grave», spiega Luigi che si è precipitato a casa dei genitori. «Ho iniziato a rianimare mio padre prima dell’arrivo dei soccorsi». Quando il 118 ha iniziato il massaggio cardiaco sull’uomo, che aveva qualche problema di cuore, Luigi è uscito dalla stanza con sua madre. «Le stavo dicendo che doveva stare tranquilla e che sarebbe andato tutto bene quando si è sentita male anche lei. Era una donna intelligente, sapeva che suo marito non ce l’avrebbe fatta e non ha retto, me lo hanno detto anche i medici, è stato un infarto esteso causato dal dolore per la morte di mio padre ». Il cuore di Gina ha trovato insopportabile l’ipotesi di sopravvivere all’amore della sua vita.
«In un colpo solo ho perso i miei genitori, è una tragedia che non si può immaginare — dice il figlio — Consola soltanto sapere che sono rimasti insieme come hanno sempre voluto vivere».