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 2019  luglio 09 Martedì calendario

Solo uno su dieci arriva con le Ong

Adesso anche le navi militari a difesa dei porti italiani. Quelle impiegate fino all’anno scorso per salvare i migranti ora saranno chiamate a fronteggiare le “incursioni” delle navi umanitarie che dovessero decidere di ignorare l’alt, come hanno fatto la Sea-Watch 3 e la Alex. Matteo Salvini schiera le forze armate nella sua “guerra” contro le Ong, come se fosse quella la strada per fermare i flussi migratori. Ma i numeri, quelli che il ministro dell’Interno ha sul tavolo, raccontano tutta un’altra storia. Dicono, tanto per cominciare, che meno di un migrante su dieci arriva in Italia con le Ong. Eccoli i numeri: nel 2019, con sei sbarchi, le navi umanitarie hanno portato a terra solo 297 persone sulle 3.082 approdate in Italia nei primi sei mesi dell’anno, meno del 10 per cento. Ma è solo lì che, fino ad ora, si è concentrata la controffensiva del Viminale.
C’è decisamente molto di distorto nella narrazione che il ministro dell’Interno fa dei flussi migratori verso l’Italia. Eppure, naturalmente, da mesi Salvini ha ben chiaro che i trafficanti libici e tunisini hanno cambiato il loro modus operandi spedendo i migranti o su barchini spesso agevolati da navi madri o su pescherecci solidi che partono dalle spiagge di confine tra Libia e Tunisia e non hanno difficoltà ad entrare indisturbati in acque italiane. E lì il gioco è fatto. O si arriva direttamente a terra (a Lampedusa o sulle coste dell’Agrigentino) o si viene intercettati dalle motovedette italiane che, a quel punto, non possono fare altro che trainare in porto le imbarcazioni. Anche qui i numeri dei primi sei mesi del 2019 non lasciano spazio ad interpretazioni. Sono ben più di due terzi, esattamente 2.486 dei 3.082, i migranti arrivati in Italia così, quasi tutti migranti economici che ( se i rimpatri fermi a quota 2.839 funzionassero) dovrebbero essere rispediti indietro. Ed è un numero per difetto perché, ovviamente, una parte delle persone arrivate con i cosiddetti sbarchi fantasma riesce a dileguarsi a terra senza essere intercettata dalle forze dell’ordine. E se c’è qualche imbarcazione da definire «non inoffensiva per la sicurezza nazionale», come recita la formula che sta alla base del divieto di ingresso in acque italiane per le navi che trasportano migranti, sono proprio queste. Lo ha detto chiaramente il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio la scorsa settimana davanti alle commissioni Affari costituzionali e giustizia della Camera: «È con gli sbarchi fantasma che arrivano le persone più pericolose, quasi sempre pregiudicati, latitanti e in contatto con organizzazioni terroristiche. Dalla Tunisia alla Sicilia ci sono regolari collegamenti navali due volte la settimana. È evidente che chi sceglie di arrivare su uno di quei barchini spera di non essere identificato».
I tunisini, dunque. E ancora numeri che, in tutta evidenza, mostrano il fronte su cui concentrare gli interventi. I tunisini sono la prima nazionalità tra i migranti sbarcati, uno su cinque. Poi vengono i pakistani, quelli che arrivano comodamente sui velieri che partono dalla Turchia e dalla Grecia e che, con cadenza almeno bisettimanale, sbarcano sulle coste della Calabria e del Salento: pakistani, iracheni, iraniani e bengalesi. Ne sono arrivati già 900, così, “traghettati” dagli scafisti russi e ucraini che incassano tra i 5 e i 6.000 euro a migrante (contro i 1.000 che si pagano oggi per le partenza da Libia e Tunisia). Un traffico lucrosissimo, mediamente 400.000 euro a viaggio) che non sembra minimamente attrarre l’interesse di Matteo Salvini.
Alla fine, scorrendo la mappa delle nazionalità dei migranti approdati in Italia nel 2019, si scopre che dei tanto temuti africani, la cui presunta invasione continua ad essere sbandierata da Salvini insieme al rischio di sostituzione etnica, ne sono arrivati ben pochi. I nigeriani, addirittura, sono totalmente scomparsi: neanche uno. Dai lager libici dove sono rinchiusi in massima parte i migranti partiti dai Paesi dell’Africa subsahariana, sono riusciti a sfuggire solo 314 ivoriani, 80 sudanesi, 80 guineani, non si arriva a contarne neanche 500. Appena pochi di più degli algerini e dei marocchini che scelgono la strada più dritta verso la Sardegna, anche lì senza incontrare nessuno sbarramento.